- Da Papa Francesco, Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale “Fratelli tutti”
Il fondamento ultimo
- 272. Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità. Siamo convinti che «soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi» (Omelia nella S. Messa, Domus Sanctae Marthae, 17 maggio 2020). Perché «la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità» (Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 19).
- Dalla vita e dagli scritti del Beato Charles de Foucauld (1858 – 1916)
(quarta parte)
Così fratel Charles descrive la carità universale che vuole veder regnare nella fraternità: “Non soltanto i Piccoli Fratelli ricevano con gioia gli ospiti, i poveri e i malati che si presentano loro, ma insistano perché entrino quelli che incontrano nei pressi, chiedendo loro come una grazia, come fece Abramo agli angeli, in ginocchio se necessario, di non passare davanti alla soglia dei loro servitori senza accettare la loro ospitalità, i loro servigi, le manifestazioni del loro amore fraterno. Che si sappia ovunque che la Fraternità è la casa di Dio, dove ogni povero, ogni ospite, ogni malato, è sempre invitato, chiamato, desiderato, accolto con gioia e gratitudine da fratelli che lo amano, gli vogliono bene e considerano il suo ingresso sotto il loro tetto come l’arrivo di un tesoro. Essi sono, in realtà, il tesoro dei tesori, Gesù stesso: «Tutto ciò che fate a uno di questi piccoli, lo ritengo fatto a me»”.
Cosa succederebbe se tutti i cristiani avessero la stessa fede, lo stesso sguardo soprannaturale?
Diede inizio alla traduzione in tuareg dei Vangeli e alcuni passi della Bibbia. Scrive un dizionario tuareg-francese. … “Il prossimo anno vorrei non aver altro da fare che dare l’esempio di una vita di preghiera e di lavoro manuale, esempio che è tanto necessario ai tuareg”, perché per loro l’uomo libero non lavora, chi lavora sono gli schiavi.
Nella meditazione continua del Vangelo e nella contemplazione eucaristica, Charles scopre che Gesù ci ha amato soffrendo per noi: “Potessimo essere come Te, vittime per la salvezza di molti, le nostre preghiere unite alle tue, le nostre sofferenze offerte con le tue, potessimo penetrare fino in fondo, dietro al tuo esempio, nello spirito di mortificazione, per aiutarti in modo efficace nella tua opera di redenzione”.
“In ogni uomo vedere un’anima da salvare … Farsi tutto a tutti con un solo desiderio, quello di dare Gesù alle anime”.
Il fallimento del suo “lavoro” non lo preoccupa dato che: “È nell’ora del maggiore annientamento che il Salvatore ha compiuto la nostra redenzione… «Se il chicco di grano non muore, non porta frutto»”.
I santi che ama di più sono i santi del Vangelo, quelli che hanno vissuto con Gesù durante la sua vita terrena. La ragione profonda è questa: fratel Charles, per la sua fede vivissima e l’ardore del suo amore, è diventato contemporaneo di Gesù. Non che viva nel passato, ma la sua vita è una vita con Gesù, come se Gesù non avesse mai lasciato la terra. Cosa d’altronde più che legittima, poiché, dopo la venuta del Figlio di Dio fatto uomo, la terra reca in sé una presenza divina.
Scrive: “Mi trovo nella casa di Nazareth, tra Maria e Giuseppe, stretto come un fratello più piccolo accanto al fratello maggiore Gesù, presente notte e giorno nell’Ostia Santa”.
In una lettera scrive: “Non tormentarti di vedermi solo, senza amici, senza aiuto spirituale, non soffro minimamente per la solitudine, che trovo invece dolcissima. Ho il santo Sacramento, il migliore degli amici, con cui parlare notte e giorno; ho la santa Vergine e san Giuseppe, ho tutti i santi”.
- Da Appunti per la festa del Vangelo, di piccolo fratello Giovanni Marco, 25 aprile 2021
LA PAROLA DI DIO IN CHARLES DE FOUCAULD
(prima parte)
L’epoca di Charles de Foucauld (1858-1916) è stata caratterizzata da una spiritualità che aveva ridotto la Bibbia ad un arsenale di citazioni pie, spostando molto il baricentro a favore degli sforzi umani di purificazione, sui modi di disporsi alla preghiera. E questo avveniva con una pietà soggettivistica, più sentimentale che spirituale nel senso proprio (cioè di una vita, la nostra concreta, reale da vivere nello Spirito), fatta certamente di pensieri buoni, ma che non sempre (la storia ce lo ha insegnato) erano i pensieri di Dio, ma solo pensieri umani. Un grande e bello sforzo dunque sull’esame di coscienza personale, sullo zelo nel coltivare il giardinetto personale di virtù, e per questo che ci fosse o no il Vangelo, era indifferente.
Ovviamente anche tra i figli di questa cultura, formazione c’erano delle eccezioni, ascoltiamo cosa dice Teresa di Lisieux:
“Talvolta, quando leggo certi trattati spirituali nei quali la perfezione è presentata attraverso mille ostacoli, circondata da una folla di illusioni, il mio povero spirito si stanca molto presto; chiudo il dotto libro che mi rompe la testa e mi inaridisce il cuore, e prendo la Sacra Scrittura. Allora tutto mi appare luminoso: una sola parola svela alla mia anima orizzonti infiniti”.
E Charles de Foucauld? Sappiamo che era dotato di una fine intelligenza, ma che in adolescenza era svogliato e non leggeva certamente questi testi ascetici né tanto meno la Bibbia: studiava poco e si interessava invece di scritti frivoli. Bisogna dire che, figlio della sua epoca, anche lo Charles de Foucauld convertito cerca testi dei classici spirituali (tuttavia egli si affida a pochi: un po’ san Giovanni della Croce, tantissimo santa Teresa d’Avila, quanto ai Padri, san Giovanni Crisostomo).
Però, - è un mio pensiero non è detto che abbia influito sul futuro amore per i testi Sacri -, Charles ha avuto presto bisogno e desiderio di conoscere “parole diverse” per realizzare ciò che aveva nel cuore, queste “parole” erano lingue diverse, ed era il contatto con persone e popoli decisamente “altri” - “diversi” - “santi” rispetto alla ristretta cerchia delle sue amicizie altolocate e quasi esclusivamente della nobiltà parigina e alsaziana. Immaginate un ricco giovane viziato nell’agio dal nonno, visconte di casato, che per realizzare la perlustrazione del Marocco, si spoglia (si svuota) travestendosi e vivendo realmente come un povero commerciante ebreo, carovaniere nelle piste terribilmente calde ed impolverate ed imparando questa lingua, l’ebraico, per poter interloquire con la sua guida lungo i pericolosi tracciati berberi, Mardocheo.
Immaginate questo ricco giovane cristiano di battesimo, non solo non praticante, ma uno che dice: “Io vivo senza nulla credere e nulla sperare”, imparare l’arabo per continuare a realizzare quel suo progetto di ricognizione del Maghreb passare ore ad ascoltare le avventure dei sultani raccontate dalla semplice e generalmente gioiosa gente comune del posto, passare ore pazientemente a vedere ed ascoltare le preghiere e le sure tratte dal Corano.
Insomma, pur di carattere molto forte e deciso, Charles de Foucauld ha sempre rimesso la sua vita nelle mani di altri attraverso l’ascolto paziente ed accogliente di parole “diverse” dalle sue, sul dialogo. Charles è un amante della corrispondenza, del dialogo attraverso le lettere (se ne ritrovano a centinaia) e la Bibbia che cosa è se non la Lettera che Dio scrive agli uomini, suoi figli amati? (cfr Dei Verbum, 2).
Non ci deve sorprendere allora che quando queste parole vengono a coincidere con l’incontro di una persona “Altra”, con la persona di Gesù, di cui si innamora follemente, Charles si butti a capofitto nei vangeli. Quell’Allah Akbar, Dio è il più grande, che tanto lo aveva affascinato nel suo anno di cammino in giro per il Marocco, ha un volto, è Gesù e il modo per conoscere questo Dio è il Vangelo. Ecco perché scrive quella frase rimasta famosa: “Torniamo al Vangelo: se non viviamo il Vangelo, Gesù non vive in noi. Torniamo alla povertà, alla semplicità cristiana. … Tornare al Vangelo è il rimedio: è ciò di cui tutti abbiamo bisogno”.
Ora ci sembra che scoprire che il fondamento della nostra fede nel Vangelo sia come scoprire l’acqua calda! Però non era così al tempo di frère Charles, e rischia di non essere di fatto così anche oggi (mi prendo d’esempio, fatica della pazienza nella lectio, attenzione di molti forse esagerata al prodotto già pronto delle omelie online, proliferare di percorsi di formazione spirituale su youtube con pro e contro … soprattutto sul soggettivismo e psicologismo).
De Foucauld, cercatore, ci sorprende allora fino ad un certo punto, se, a differenza dei suoi contemporanei quasi istintivamente si butti sulla Sacra Scrittura e scriva per esempio: “Seguiamo gli insegnamenti di Gesù, i consigli, le parole, gli esempi di Gesù e non quelli di questo o di quel maestro, di questo o di quel santo, se essi s’allontano poco o molto da quelli del «nostro solo maestro» e del «solo perfettamente santo»: Gesù”. Dirà che “i santi sono solo cartelli indicatori”.
Ecco il punto: la curiosità del cercatore e dell’esploratore geografico, che diventa un esploratore della vita nello spirito innamorato del Maestro, Gesù. Scriverà per esempio, mettendosi nei panni di Gesù, come fa spesso: “Le parole della Sacra Scrittura traggono la loro origine da una forza divina. Per questo è necessario conoscere bene la Sacra Scrittura: leggetela, rileggetela, meditatela, approfonditela incessantemente. … Quando parlo voi dovete ascoltarmi, e la Scrittura è la mia parola”.
E durante un ritiro che fece nel 1902 a Beni-Abbès fece questo proposito: “Non omettere mai la meditazione personale del santo Vangelo: le mie letture personali del santo Vangelo, della Sacra Scrittura: è l’alimento”.
“Non di solo pane vive l’uomo …”. Anche nel 1891 poco dopo essere arrivato nella poverissima Trappa di Akbes scrive a Marie de Bondy sua cugina e punto di riferimento nella vita: “Un po’ di Sacra Scrittura è, con qualche rigo dei santi Vangeli, tutto quanto il mio cibo, eppure io vivo”.
Quanto la parola di Dio scavasse nella sua anima lo ascoltiamo da una pagina un po’ lunga, ma certamente appassionata: “Leggiamo sempre il Vangelo amorosamente, come se fossimo seduti ai piedi dell’Amato, ascoltandolo mentre ci parla di se stesso. Dobbiamo cercare di capirla, questa Parola amata: colui che ama non s’accontenta di ascoltare le parole dell’essere amato come una gradevole melodia, ma cerca di afferrare, di capire le minime sfumature; lo desidera tanto più quanto più ama, perché tutto ciò che viene dall’essere amato ha tanto valore; soprattutto le sue parole che sono come qualcosa della sua anima. … Ascoltiamo, leggiamo, accogliamo amorosamente ogni parola del nostro Beneamato. Nel fondo dei nostri cuori facciamo ad ogni parola dei libri santi l’accoglienza amorosa della sposa che sente la voce dello sposo: «La mia anima si è disciolta dentro di me, quand’egli ha parlato…»”.