6° incontro

- Da Papa Francesco, Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale “Fratelli tutti

  1. 93. Cercando di precisare in che cosa consista l’esperienza di amare, che Dio rende possibile con la sua grazia, San Tommaso d’Aquino la spiegava come un movimento che pone l’attenzione sull’altro «considerandolo come un’unica cosa con sé stesso» (Summa Theologiae II-II, q. 27, art. 2, resp). L’attenzione affettiva che si presta all’altro provoca un orientamento a ricercare gratuitamente il suo bene. Tutto ciò parte da una stima, da un apprezzamento, che in definitiva è quello che sta dietro la parola “carità”: l’essere amato è per me “caro”, vale a dire che lo considero di grande valore (cfr I-II, q. 26, a. 3, resp). E «dall’amore per cui a uno è gradita una data persona derivano le gratificazioni verso di essa» (ibid., q. 110, a. 1, resp).

 

- Dalla vita e dagli scritti del Beato Charles de Foucauld (1858 – 1916)

(quinta parte)

Nel giugno 1908, da Tamanrasset scrive: “Ho due eremi, a millecinquecento chilometri di distanza uno dall’altro! Passo tre mesi in quello del nord, sei mesi in quello del sud, tre mesi per andare e venire, ogni anno”.

Nel 1912, in una lettera a Maria de Blondy, scrive: “L’anima non è fatta per il frastuono, ma per il raccoglimento e la vita deve essere una preparazione al cielo, non soltanto per le opere meritorie, ma per mezzo della pace e del raccoglimento in Dio. L’uomo invece si è gettato in discussioni infinite; la medesima soddisfazione che ricava dal frastuono basterebbe a provare quanto egli si smarrisca lontano dalla sua vera vocazione. Bisogna passare dal deserto e soggiornarvi per ricevere la grazia di Dio: è lì che uno si svuota, là che uno scaccia via da sé tutto ciò che non è Dio. … In questa solitudine Dio si dà totalmente a colui che totalmente si dà a lui”.

Da tutto questo fratel Charles appare come un eremita innamorato di Dio in una continua ricerca di solitudine per incontrarlo, sembra quasi che si allontani dalle persone, ma non è così. Tutta la sua spiritualità che ha come obiettivo Gesù, ha parimenti il desiderio della fraternità, sia con quelli che spera di condividere la propria fede, sia con le popolazioni musulmane nelle quali ha scelto di vivere. Sentiamo cosa dice nel 1916 in una lettera a Louis Massignon: “Non c’è, credo, parola del vangelo che abbia fatto su di me più profonda impressione, e trasformato del tutto la mia vita, di questa: «Tutto ciò che fate a uno di questi piccoli, lo ritengo fatto a me». Queste parole sono uscite dalla stessa bocca che ha detto: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue». Con quale energia, quindi, si è portati ad amare Gesù in questi piccoli, nei peccatori, nei poveri”.

Lettera a mons. Guerin, 1902: “Mi comporto (con gli schiavi dei Tuareg) in tal modo: lungi dall’invogliarli alla fuga o alla rivolta, consiglio loro la pazienza e di rimanere dove sono. Dico loro che con il tempo Dio darà loro il conforto e la libertà. Ma nello stesso tempo non nascondo agli amici francesi che questa schiavitù è un’ingiustizia, un’immoralità mostruosa, e che è loro dovere fare il possibile perché sia soppressa. Da un lato non ci è dato l’ufficio di governare, ma dall’altro abbiamo l’obbligo di aiutare il nostro prossimo come noi stessi …, di fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi e, conseguentemente di ricorrere a tutti i mezzi che si rendono necessari per confortare questi sventurati. … Quello che facciamo a loro lo facciamo a Gesù …, ciò che trascuriamo di fare ad essi, trascuriamo di farlo a Gesù. D’altra parte, non abbiamo il diritto di essere cani muti e sentinelle prive di parola: ci corre l’obbligo di gridare, quando vediamo il male”.

“Cerco di conquistare la fiducia degli indigeni, di creare un clima di amicizia. Io non posso concepire l’amore senza un bisogno, un bisogno imperioso di conformità, di rassomiglianza e soprattutto di partecipazione a tutte le pene, a tutte le difficoltà, a tutte le durezze della vita. Essere amico di tutti, buoni e cattivi, essere un fratello universale”.

Madre Teresa, nel discorso che tenne quando le fu conferito il Premio Nobel per la Pace nel dicembre 1980 disse: “Vogliamo annunziare la Buona Notizia ai poveri, che Dio ama, che noi li amiamo, che per noi sono importanti e che i poveri, in un senso o nell’altro, lo siamo tutti. Tutti abbiamo bisogno degli altri”.

Foucauld decise di fuggire dal mondo e fu fortemente attratto dalla vita eremitica, che lo caratterizzò nei 15 anni seguenti alla sua conversione. Ma poi, nel deserto, aprì tutto il suo cuore all’amore fraterno, semplice e quotidiano verso ogni uomo, fino al giorno della sua morte.

Come san Francesco, Foucauld vuole che si ritorni al Vangelo, nella sua forma letterale, senza commenti, letto e meditato direttamente. L’evangelizzazione che propone è l’opposto delle manifestazioni mondane, dove la religione-spettacolo vuole provocare la fede. Per lui tutto questo è inutile, non serve a predicare il Vangelo, come invece può fare la bontà anonima, praticata là dove ci si trova e a seconda delle circostanze. Egli ha avuto la missione di dimostrare che la spiritualità di Nazareth può essere vissuta in ogni situazione (diceva che lui non riusciva a imitare Gesù nella sua vita di predicazione, gli era più consono imitare Gesù nella sua vita nascosta a Nazareth): nel celibato come nella vita di coppia, nella vita religiosa o in famiglia, nel sacerdozio o nel laicato, da soli o nella vita di tutti i giorni.

 

Dagli scritti delle Comunità, Not 153

- don Divo Barsotti, dal “Vademecum”

LA CARITÀ FRATERNA

La Comunità importa una comunione, una carità fraterna. Essa ci richiama alla carità fraterna con tutto quello che richie­de, sia nelle relazioni fra noi, sia nelle relazioni con gli altri. Ma la carità fraterna non ci deve far trascurare gli impegni della vita religiosa. Le visite ai malati e anche il bisogno di trovarci insieme e altri impegni di carità non ci debbono dispen­sare dal vivere la vita intera della Comunità in quelli che sono gli impegni fondamentali, e soprattutto l’orazione.

Nulla ci può scusare dal trascurare la meditazione, la let­tura della Sacra Scrittura. Altrimenti la nostra carità finisce per non aver più un carattere soprannaturale, cioè un carattere di vera carità. Veramente si illude di fare della carità chi non vive in unio­ne con Dio; e invano s’illude di vivere in unione con Dio chi è senza raccoglimento.

La Comunità è una comunità di anime che amano e sono amate. È l’amore quello che cementa, che ci unisce. L’amore fraterno è la legge del nuovo patto, questo amore scambievole che è l’amore stesso del Cristo: “Amatevi come io ho amato voi” (Gv 13,34). Non un dono qualunque ci è chiesto, ma il dono totale di noi stessi, del nostro tempo, delle nostre pos­sibilità, della nostra vita, di tutto, per gli altri. Quanto più sapremo realizzare la Comunità in questo amore che ci unisce tra noi, tanto più manifesteremo che Dio vive in noi.

Ed è questa la rivelazione che dobbiamo dare agli altri vivendo nel mondo: una forza divina che in noi si manifesta, agisce e vive. Noi viviamo nel mondo e il mondo non conosce l’amore, l’amore soprannaturale che prescinde da leggi naturali. È precisamente nella carità fraterna che ci distingue che noi siamo una comunità, nonostante che esteriormente vi siano differenze di stato, di età, di cultura ecc. In questa carità, in questa unione si dimostra presente Dio stesso in noi e si di­mostra presente fra noi anche la Vergine Maria, la Madre.

Quello che il Signore ci chiede è che veramente rinunzia­mo a noi stessi, ci liberiamo di noi stessi e viviamo l’amore. E l’amore cristiano è centrifugo, non centripeto: è un amore che non vive di se stesso, ma sì dà agli altri. Noi dobbiamo vivere questo amore col dono totale di noi stessi al Signore, ma attraverso tutti quelli che a noi si avvicinano: amore di comprensione, di pietà, di umiltà, di simpatia, amore di servizio, di dedizione, di semplicità, di gioia.

L’unità della Comunità è ecclesiale, comunione di carità, quella che è propria della Chiesa di Dio. I primi cristiani erano fusi in una sola vita, in una sola preghiera, in una sola carità: erano - dicono gli Atti (4,32) un cuore e un’anima sola”.

La carità deve essere lo spirito che ci anima e ci distingue, il carattere vivo della nostra vita spirituale: quella carità che ci si manifesta in Gesù che nasce, in Gesù che vuole per noi vivere una vita di povertà, di umiltà, di semplicità. Dio non solo ci ama, ma assume la nostra vita per non distinguersi da noi. I santi in qualche modo si distinguono, ma Gesù no: è “il figlio del falegname”. È l’amore che lo ha reso in tal modo simile a tutti. Così anche noi dobbiamo assimilarci ai nostri fratelli nell’amore. …

Vivremo la vita dei figli di Dio se sapremo essere a tutti fratelli, a tutti vicini, disponibili a tutti: ai malati, ai poveri e anche ai ricchi, a coloro che sanno e a coloro che non sanno, ai vecchi e ai giovani, in modo che ognuno senta in noi qual­cuno che li comprende e li ama, e nessuno senta una sepa­razione. La nostra Comunità non avrebbe raggiunto il suo ideale se si trasformasse in una chiesuola, in una piccola élite. Attenti a questo pericolo.

La Comunità deve essere aperta. Siamo figli di Dio. Molti, migliori di noi, vivono meglio di noi questa vita di figli di Dio, ma noi, più deboli, abbiamo sentito il bisogno di riunirci per aiu­tarci a vicenda. Però non sentiamo esclusi quelli che non ven­gono: sono tutti nostri fratelli. Abbiamo questa disponibilità d’amore che si apre a tutti.

 

- Da appunti della riflessione introduttiva di don Giampaolo all’incontro del Consiglio di Comunità allargato di sabato 9 aprile 2016 a San Giovanni, dopo la lettura dallo Statuto del capitolo 2.7, dal Not 141

L’AIUTO FRATERNO

Don Giampaolo si sofferma sulla formazione come un cammino, con un “aiuto fraterno” che fa riconoscere il Signore e avvicina ai fratelli nella fede, facendo riferimento al Vangelo di questa domenica: Giovanni 21,1-19. Come cristiani non si nasce, ma si diventa attraverso un cammino di conversione, così per l’adesione comunitaria si deve compiere un cammino di continua trasformazione e trasfigurazione, con la forza di Gesù risorto.

Pietro aveva perso di vista il Signore, ma aveva perso di vista anche se stesso, la sua identità. Dopo avere obbedito al comando del Signore e accolto l’aiuto di Giovanni, riconosce la presenza del Signore. La triplice domanda di Gesù, arrivato a terra, gli fa compiere il passaggio dall’infantilismo all’essere uomo adulto, nella consapevolezza dei propri limiti, della propria debolezza. “Mi ami tu più di questi?”. Dicendo “questi” Gesù può riferirsi agli altri discepoli, oppure alle cose che Pietro aveva già lasciato per seguirlo. Il discepolo amato è un testimone di Gesù risorto, che perdona e che chiama.

La formazione aiuta in un cammino di crescita dell’amore. Il cammino è personale, ma con relazioni fraterne, anche di servizio. L’Esortazione del Papa Amoris laetitia mette in risalto tre verbi: amare, accompagnare e discernere.

  1. Per lo svolgimento dell’assemblea generale

- Dallo Statuto e dal Direttorio

St. 2.5) L’AMORE VERSO IL PROSSIMO. Maria invita alla condivisione dei doni della Parola e della preghiera con i fratelli, a partire da quelli della Comunità; pertanto i consacrati sono chiamati a vivere la vita fraterna e a muoversi nel servizio e nella testimonianza della carità di Cristo.

Dir. 2.5) L’AMORE VERSO IL PROSSIMO. Come Maria che porta con Gesù ogni dono di Dio, in fretta e nella lontana casa di Zaccaria ed Elisabetta, anche noi con urgenza desideriamo portare Cristo e la sua Parola nelle nostre case, di famiglia in famiglia, e negli ambienti in cui viviamo.   

 

- Da Luigino Bruni, Guida alla lettura della Lettera enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”. Si può leggere la parte rimanente nella introduzione alla Lettera nella edizione Paoline.

Non basta essere religiosi per essere fratelli-so­relle nel senso del Vangelo. Il mondo è pieno di gente che, uscendo dalle chiese, dalle sinagoghe, dal­le moschee e dai templi non si china sulle vittime e passa oltre. Non sappiamo nulla di quel samari­tano tranne la sua nazionalità, e sappiamo ancora meno di quella vittima (“un uomo scendeva ...”: un uomo, come Giobbe, come ogni vittima). A dirci che la fraternità del Vangelo, e quindi di Francesco, è davvero fraternità universale.

Prendendo a fondamento della sua fraternità questa parabola, Francesco ci indica una fraterni­tà larga, inclusiva, inter-culturale e inter-religiosa, la più ampia possibile. E questo è davvero molto bello.

Due implicazioni dirette sono particolarmente importanti. La prima, molto suggestiva: “I «briganti della strada» hanno di solito come segreti al­leati quelli che «passano per la strada guardando dall’altra parte»” (n. 75). La seconda riguarda il rischio del “noi, sfida altrettanto centrale in un cristianesimo che troppo spesso si accontenta del caldo della comunità e fugge dal freddo delle stra­de e delle periferie.

L'amore che è autentico, che aiuta a crescere, e le forme più nobili di amicizia abitano cuori che si lasciano completare. Il legame di coppia e di amici­zia è orientato ad aprire il cuore attorno a sé, a ren­derci capaci di uscire da noi stessi fino ad accoglie­re tutti. I gruppi chiusi e le coppie autoreferenziali, che si costituiscono come un “noi” contrapposto al mondo intero, di solito sono forme idealizzate di egoismo (n. 89).

 

- Dalla vita e dagli scritti del Beato Charles de Foucauld (1858 – 1916)

(sesta e ultima parte)

Fratel Charles muore nel 1916 colpito da una pallottola sparata da un ragazzo di 15 anni. “Charles è morto come tanti uomini e donne del nostro secolo: ostaggio e vittima della guerra. Non è caduto sul campo né martire, le istituzioni nazionali e religiose non possono celebrare la sua morte perché fu anonima e insignificante, egli fu uno degli innumerevoli caduti a causa degli orrendi conflitti del XX secolo” (Louis Massignon).

Louis Massignon incontrò Charles nel 1909. Islamologo di fama internazionale, riuscì a mantenere viva una associazione chiamata “Unione dei fratelli e sorelle del Sacro cuore di Gesù”, fondata da Charles. In seguito scrisse il Direttorio de “L’Associazione Charles de Foucauld”.

René Bazin scrisse la prima biografia di Charles de Foucauld nel 1921. È grazie a questa biografia che si conoscerà la figura di Charles in Francia.

Il riconoscimento ufficiale (27 maggio 2020) di un miracolo – avvenuto il 30 novembre 2016, vigilia del centenario dell’assassinio, il 1 dicembre 1916 – porterà presto alla canonizzazione di Charles de Foucauld, dopo la beatificazione proclamata il 13 novembre 2005.

Nel 1955 nasce l’Associazione “Famiglia Spirituale Charles de Foucauld” che racchiude diverse congregazioni religiose ispirate alla vita e alla spiritualità di Charles.

René Voillaume, sacerdote e teologo francese, fondatore dei Piccoli Fratelli di Gesù, scriverà un libro sulla spiritualità delle associazioni che stavano nascendo dall’esempio dato da Charles: “Au coeur des masses”, in italiano il titolo sarà “Come loro”.

René Voillaume ci ricorda che: “La Chiesa è un corpo vivente di una vita il cui mistero ci sfugge. La sua crescita si attua sia in profondità nelle anime, sia esteriormente nel numero, e forse la Chiesa è più estesa nel senso della sua dimensione in profondità che non in larghezza. Questa dimensione della Chiesa sfugge a ogni misurazione numerica e a ogni statistica, e forse le Fraternità lavoreranno soprattutto ad aumentare questa dimensione” (Come loro, pag. 38).

E come diceva il patriarca Atenagora (arcivescovo ortodosso greco, patriarca ecumenico di Costantinopoli dal 1948 al 1972), “senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, la Chiesa diventa una semplice organizzazione, l’autorità si trasforma in dominio, la missione in propaganda, il culto in evocazione e l’agire dei cristiani in una morale da schiavi”.         

 - Da Appunti per la festa del Vangelo, di piccolo fratello Giovanni Marco, 25 aprile 2021

LA PAROLA DI DIO IN CHARLES DE FOUCAULD

(seconda e ultima parte)

Frère Charles era solito fare le sue meditazioni sulla Bibbia per iscritto: le ore passate dinanzi alla Bibbia con la penna in mano erano per lui, diceva, “una ricreazione dell’anima”, erano “preghiera”.

In linea con i metodi in uso si riproponeva di meditare la Parola in due tempi: prima rintracciare nel testo i segni dell’amore di Dio per l’uomo, poi trarne gli insegnamenti per la propria vita. Ma quasi sempre il metodo veniva sconvolto dal suo abbandonarsi alla preghiera. Certo negli scritti questa preghiera è spesso eccessivamente affettiva, sdolcinata, però vediamo che proprio l’atteggiamento orante fu il segreto della sua capacità di penetrare la parola di Dio.

Alla trappa de Foucauld impara rapidamente a memoria i salmi, ma sono soprattutto decisivi i tre anni vissuti a Nazareth all’ombra delle Clarisse: li passa in gran parte davanti al tabernacolo, con foglio e penna in mano, a meditare i Vangeli. Un’immersione nei Vangeli leggendoli in forma continua e queste sue meditazioni, poi pubblicate come dei commenti, costituiscono di fatto la maggior parte dei suoi scritti ritrovati dopo la sua morte. Commentando Lc 16,16-17, dirà che la Scrittura permette, a chi vi si accosta assiduamente, questo tipo di partecipazione alla vita di Gesù; un’esperienza di consolazione e di pace. La Parola di Dio è infatti come un olio profumato.

“Come siete buono, mio Dio, ad averci donato i Libri Sacri dei quali, si può dire, come del nome dolcissimo di Gesù, che sono come l’olio profumato: luce, farmaco, cibo … La loro soavità è un profumo inebriante per il cuore e per l’anima; sono una guida infallibile per la nostra intelligenza: «luce che brilla in un luogo oscuro» (cfr Gv 1,5); guariscono, consolano con la speranza e la pace che diffondono nell’anima che li legge; nutrono con i loro insegnamenti morali, i precetti, gli esempi di virtù di cui sono pregni” (M/386: 179-80).

Innamorato di Gesù dicevamo, punta all’imitazione, perché dice, l’amato tende a imitare la persona che ama e per questo non può fare altro che conoscere l’Amato attraverso la Parola di Dio.

Piano piano la parola di Dio diventa la sua stessa parola, anche se non era e non è mai stato un esegeta: le effusioni della sua preghiera sono tutte punteggiate da citazioni bibliche. Era diventata l’atmosfera nella quale respirava e che, impregnandolo, lo trasformava. Attraverso la Parola, Charles era convinto che Cristo stesso entrava nel suo cuore sollevandolo, bruciandolo e ricreandolo a propria immagine e somiglianza. A lui interessava somigliare a Gesù, assumere i suoi sentimenti, comportamenti.

Il culto riservato alla parola di Dio era testimoniato nelle oasi algerine dal fatto di tenere sempre esposta, aperta la Parola di Dio sull’altare sopra un velo di seta con l’unica lampada del tabernacolo in mezzo. Scrive: “Per venerazione verso la parola di Dio, noi teniamo perennemente questo libro, che è il nostro tesoro, nel santuario, accanto al santissimo sacramento, sotto il raggio della lampada del tabernacolo, la quale arde sia dinanzi al corpo del nostro Dio che dinanzi alla sua sacra parola” (cfr Sacrosanctum Concilium, 7).

Pensiamo alla lettera di Paolo ai Filippesi, al cap. 2, dove l’apostolo esorta la comunità, vivendo in mezzo ai malvagi a risplendere come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita. Ecco, Charles desidera che questa Parola sia salda, alta tra i suoi discepoli, questo si doveva anche “vedere” nelle pur povere cappelline.

Charles è consapevole che solo rimanendo in ascolto della Parola di Dio, si “dimora” in lui, si stabilisce una relazione stabile con Gesù. In tal modo il credente fa tesoro dei sentimenti di Gesù, delle sue passioni, si conforma a lui partecipando alle prospettive suscitate dal Verbo.

Per Charles il Vangelo si propone come unico obiettivo di far sì che il credente cresca, a imitazione di Gesù, in sapienza e in grazia. La prova di questa crescita consiste nell’amore verso il prossimo e nell’umiltà, come afferma pregando sui versetti di Lc 2,51-52 (“Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”).

D’altronde quell’ultimo posto che Gesù ha preso e che nessuno gli potrà togliere, frase pronunciata in un’omelia dall’Abbé Huvelin che ha incantato il nostro de Foucauld, è presa proprio da qualche versetto prima dello stesso capitolo 2 ai Filippesi: “Gesù non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma svuotò se stesso, assumendo la condizione di uomo … Riconosciuto come uomo umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e ad una morte di croce”.

Leggendo e accostandosi con frequenza ai vangeli essi diventano per lui una “luce che trasforma tutte le cose della vita, e fa della terra, un cielo”.

Charles è convinto che “il buon Dio dona a tutti, in fatto di luci ciò che è necessario per vivere giorno per giorno”, così in mezzo agli insuccessi e alle varie prove occorre affidarsi a Dio, che sa condurre le cose molto meglio degli uomini.

È necessario allora un impegno perseverante nell’ascolto delle Scritture con atteggiamenti di cura, amore e zelo, perché essa conduce all’imitazione del Beneamato: “Vi insegno che bisogna leggere, rileggere, studiare incessantemente questi Libri Sacri, in primo luogo ... per mezzo dell’amore verso di Lui che dovete ascoltare quando vi parla, poi anche per trovarvi delle regole per pensare, parlare, agire come vuole che facciate”.

Il suo esempio ci aiuta a tenere sempre un contatto vivo con la Parola!

 

- Preghiera di Papa Francesco a conclusione della Lettera enciclica “Fratelli tutti

PREGHIERA AL CREATORE

Signore e Padre dell’umanità,

che hai creato tutti gli esseri umani con la stessa dignità,
infondi nei nostri cuori uno spirito fraterno.
Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace.
Stimolaci a creare società più sane e un mondo più degno,
senza fame, senza povertà, senza violenza, senza guerre.

Il nostro cuore si apra
a tutti i popoli e le nazioni della terra,

per riconoscere il bene e la bellezza
che hai seminato in ciascuno di essi,
per stringere legami di unità, di progetti comuni,
di speranze condivise
. Amen.