2° incontro

- Da Papa Francesco, Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale “Fratelli tutti

  1. … Ma voglio concludere ricordando un’altra persona di profonda fede, la quale, a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti. Mi riferisco al Beato Charles de Foucauld.
  2. Egli (il Beato Charles) andò orientando il suo ideale di una dedizione totale a Dio verso un’identificazione con gli ultimi, abbandonati nel profondo del deserto africano. In quel contesto esprimeva la sua aspirazione a sentire qualunque essere umano come un fratello, e chiedeva a un amico: «Pregate Iddio affinché io sia davvero il fratello di tutte le anime di questo paese» (Lettera 29 novembre 1901). Voleva essere in definitiva, «il fratello universale» (Lettera 7 gennaio 1902). Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò a essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi. Amen.

 

- Dalla vita e dagli scritti del Beato Charles de Foucauld (1858 – 1916)

(prima parte)

Charles Eugène de Foucauld nasce a Strasburgo il 15 settembre 1858, figlio del visconte De Portbriand. Charles e la sorella Marie rimangono orfani nel 1864 e vengono affidati al nonno, colonnello in pensione di circa 70 anni. Riceve la Prima Comunione e frequenta la Scuola episcopale di Saint Arbogat e più tardi il liceo. Fu qui che cominciò a disabituarsi al lavoro regolare e ordinato, non tardando a perdere anche la fede. Ammesso alla Scuola militare nel 1876 sperperava allegramente il denaro che gli elargiva un suo zio, fumava solo sigari costosi, vestiva con ricercatezza. Lo zio lo affidò a un tutore legale, ma il comportamento non cambiò. Destinato, come tenente, in Algeria, convive con una giovane donna giunta con lui dalla Francia. Invitato a rompere la relazione preferisce uscire dall’esercito. Ritornerà poco dopo per sedare una insurrezione a fianco dei suoi compagni d’arme. Tra i pericoli e le privazioni della situazione, quel letterato festaiolo si comportò da vero soldato e capo, occupandosi con abnegazione dei suoi uomini. Gli arabi lo avevano profondamente colpito.

Scriverà: “Per dodici anni ho vissuto senza alcuna fede: nulla mi pareva sufficientemente provato. L’identica fede con cui venivano seguite religioni tanto diverse mi appariva come la condanna di ogni fede.  … Per 12 anni rimasi senza nulla negare e nulla credere, disperando ormai della verità, e non credendo più nemmeno in Dio, sembrandomi ogni prova oltremodo poco evidente” (Lettera 14 agosto1901 a Henry de Castries).

Sedata l’insurrezione si dimette dall’esercito e si stabilisce in Algeria per preparare il suo grande viaggio in Marocco per conto della “Società di Geografia”.

Aveva 24 anni e sembrava che fosse nato per vivere in oriente. Andò ad Algeri, prese lezioni di arabo e conobbe quello che sarà la sua guida, il rabbino Mardocheo. Era impossibile penetrare in quel paese ostile senza nascondere la sua natura europea: decise di viaggiare travestito da ebreo e imparò oltre l’arabo anche l’ebraico. Racconta: “Il 10 giugno 1883 entro in una vecchia casa del quartiere ebraico di Algeri; è la dimora del rabbino Mardocheo … Abbandono i miei abiti europei e indosso quelli ebraici: lungo camicione con ampie maniche, pantaloni fino al ginocchio …, calze, sandali, un berretto rosso e un turbante nero. Un abito ebraico per metà algerino e per metà siriano, adeguato ai diversi ruoli che sarò costretto a interpretare … Sono il rabbino José Aléman diretto verso l’Africa del nord, e viaggio alla ventura, povero, ma confidando in Dio. Mardocheo che veste abiti simili ai miei mi farà passare per suo figlio”.

Charles scopre, sia tra i musulmani sia tra gli ebrei, la sacra legge dell’ospitalità. È qualcosa di completamente nuovo per lui. Se, fino ad allora, il musulmano era stato per lui un nemico, ora lo scopre come amico.

Nel suo “Itinerari in Marocco” racconta: “Il travestimento da ebreo non era privo di inconvenienti: camminare scalzo per le strade di paesi e città, ricevere insulti e sassate, non era nulla; ma vivere costantemente con gli ebrei marocchini che, salvo rare eccezioni, erano i più disprezzabili e ripugnanti di tutti, era un supplizio tremendo. Mi trattavano come un fratello. Con assoluta franchezza, vantandosi di atti criminali e confidandomi sentimenti ignobili. Quante volte ho desiderato fossero più ipocriti!”.

Charles con questo suo libro dimostra che avrebbe potuto essere annoverato tra i più famosi scrittori che ci hanno trasmesso immagini di paesi nuovi.

Tornato in Francia riceve elogi e ammirazione, riceve altresì una medaglia d’oro per la sua impresa che a quei tempi era impensabile: ha esplorato 3.000 km con annotazioni geografiche e disegni.

La grande esplorazione del Marocco lo cambiò profondamente. Scoprì che alcuni musulmani vivono in continua presenza di Dio e questo lo lasciò fortemente turbato. Dirà: “L’Islam ha prodotto in me un profondo turbamento … La vista di quella fede, di quelle anime che vivono nella costante presenza di Dio, mi ha fatto come intravedere qualcosa di più grande e più vero degli impegni mondani”.

 

- Dall’omelia di don Giampaolo del 12 novembre 2016 sul brano della nostra lectio, 2Cor 9,1-9, dal Not 144

LA CARITÀ COME COMUNIONE

Al capitolo 9 la lettera ai Corinzi conclude la sessione dedicata all'organizzazione della colletta verso la Chiesa di Gerusalemme. Si parla di generosità ed accettazione del Vangelo: è un argomento molto concreto, illuminato dall'idea di carità come comunione.

La comunione richiama alla comunità perché è comunione attualizzata nella prontezza dell’azione. A Gerusalemme ci sono i poveri che hanno bisogno di aiuto, Gerusalemme è la chiesa madre. La chiesa di Roma ha il primato nella carità, ma è Gerusalemme il luogo in cui è nata la chiesa universale. Allora vediamo come si articola la comunione che ha tre livelli.

Comunione come volontà di Dio

Lui ha acceso, attraverso lo Spirito Santo, il desiderio di una comunione fra le chiese ed è nata così la necessità della colletta. La chiesa madre infatti ci ha comunicato tutti i beni spirituali e la chiesa dei pagani deve essere riconoscente a lei per l’ineffabile dono della redenzione compiuto da Gesù. Motivo della generosità deve essere l’esempio di Cristo che da ricco che era si è fatto povero per la nostra salvezza.

Il secondo livello di comunione è la liturgia

Si tratta di offrire con l’Eucarestia una offerta pura, generosa di ringraziamento, gradita a Dio anche se fatta con sacrificio, ma con gioia perché “Dio ama chi dona con gioia”. Se la liturgia è triste è svuotata e non è gradita a Dio. L’Offertorio è un segno della nostra risposta a Dio che da ricco si è fatto povero per arricchirci, perciò noi dobbiamo essere zelanti nel donare con gioia. Lo slogan del Congresso Eucaristico di quest'anno è “Date voi stessi loro da mangiare”, che non vuole solo dire che ci dobbiamo impegnare, ma che dobbiamo diventare noi cibo per il prossimo. San Vincenzo de’ Paoli diceva che noi dobbiamo farci perdonare il dono che facciamo ai poveri. Egli dava tutto ai poveri ed a uno che gli chiedeva: “Ma chi ti manda?”, lui rispondeva: “Mi manda il mio Signore”. Era il Signore che suscitava tutta quella generosità. All’Offertorio dobbiamo con generosità donare noi stessi al nostro Signore e con gioia donare ai poveri secondo le nostre possibilità, ricordando che le cose esprimono il dono di sé in modo totale e che, in modo totale, il Signore si è donato una volta per tutte per la nostra salvezza. Noi siamo i popoli pagani, cioè eletti per grazia e misericordia per fare un’alleanza con tutti i popoli della terra perché tutti siano salvati e redenti. Dio non vuole che neppure un capello del nostro capo vada in rovina: niente è perduto, tutto è redento.

Comunione fraterna

L’ultimo livello della comunione è quello più difficile perché si parla di comunione fraterna. Nella lettera di san Paolo è chiarissimo: esorta i Corinzi ad amarsi, a comportarsi bene, a essere suo vanto per portargli onore. L’onore è legato all'amore, anche nella formula del matrimonio si dice: “Io prometto di amarti ed onorarti tutti i giorni della mia vita...”. Che cosa è l’onore? È il peso. Significa che lo sposo e la sposa promettono di amarsi portandosi il peso l’uno dell’altra per ogni giorno della loro vita. Vuole dire: ti amo, accetto di onorarti con gioia e con zelo nei momenti in cui tu sei leggero da amare e sopportare, ma anche quando sei pesante e diventa difficile amarti.