1° incontro

1° incontro

  • Dallo STATUTO e dal DIRETTORIO

Dir. 1.1 § 2) La nostra associazione è precisata come “associazione con nucleo di fedeli che praticano i consigli evangelici”, tuttavia si sottolinea il carattere “laicale” della Comunità: il primato di Dio è affermato in tutte le condizioni di vita, in tutte le situazioni in cui l’uomo viene a trovarsi.

Dir. 2.1.1 § 3) Ogni risposta al Signore comporta di per sé l’intenzione della donazione completa, anche nel senso del tempo, “per sempre”. Un legame di amicizia e di fraternità nel Signore si regge su un proposito duraturo, senza limiti e scadenze, come inizio di “eterna comunione dei santi”.

Dir. 2.1.2) Statuto e regole. Lo Statuto è un dono di Dio e della Chiesa per tutti i consacrati. Quanti professano con voti e promesse i consigli evangelici hanno, oltre allo Statuto, anche la Regola che precisa l’oggetto dell’impegno e la forma di vita.

St. 1.5) La Comunità dei Figli di Maria di Nazareth, anche se si configura con una sua specificità e peculiarità, ha trovato un aiuto per la sua ispirazione e un riferimento spirituale per il proprio cammino nella Piccola Regola della Piccola Famiglia dell’Annunziata, nello Statuto della Comunità dei Figli di Dio e negli scritti di don Divo Barsotti.

 

- Profilo biografico di ALBINO LUCIANI, PAPA GIOVANNI PAOLO I dal 26 agosto al 28 settembre 1978, (Canale d’Agordo, Belluno 17 ottobre 1912 - Città del Vaticano 28 settembre 1978)

Albino Luciani nacque il 17 ottobre 1912 a Forno di Canale, oggi Canale d’Agordo, provincia e diocesi di Belluno. Primogenito dei quattro figli di Giovanni Luciani e Bortola Tancon, fu battezzato in  casa  dalla  levatrice  il  giorno  stesso  della  nascita.  Albino  trascorse  la  sua  fanciullezza  tra  la bellezza  delle  valli  e  delle  montagne  del  suo  paese  natale,  nelle sofferenze  della  Prima  Guerra  Mondiale  e  nella  povertà  di  una famiglia contadina.

La   sua   vocazione   sacerdotale   nacque   a   10   anni,   per   la predicazione di un frate cappuccino. Si avviò così agli studi e nel 1923  fece  il  suo  ingresso  in  seminario,  a  Feltre  prima,  poi  nel 1928   a   Belluno.   Il   7   luglio   1935   ricevette   l’ordinazione sacerdotale.   Svolse   il   suo   ministero   come   cappellano   della parrocchia  del  suo  paese  natale  e  poi  in  quella  di  Agordo,  dove insegnò  religione  presso  l’Istituto  Tecnico  Minerario.  Nel  1937 venne   nominato   Vicerettore   del   Seminario   di   Belluno.   Il   27 febbraio   1947   si   laureò   in   teologia   alla   Pontificia   Università Gregoriana.  Nominato  Vicario  Generale  della  diocesi  di  Belluno nel 1954, venne poi consacrato Vescovo di Vittorio Veneto il 15 dicembre 1958, nel primo concistoro indetto da Giovanni XXIII. Il  successivo  27  dicembre  ricevette  la  consacrazione  episcopale dalle  mani  del  Papa,  nella  basilica  di  San  Pietro,  e  l’11  gennaio 1959 fece il suo ingresso nella diocesi veneta.

Il   motto  episcopale  “Humilitas,   che   fu   di   san   Carlo Borromeo e che egli volle impresso sullo stemma insieme alle tre stelle simbolo della fede, della speranza e della cari – segnò l’orientamento costante nell’esercizio del suo ministero episcopale.

La sua missione si svolse con pari intensità sul piano spirituale, caritativo e culturale. Incline al dialogo e all’ascolto, diede da subito priorità alle visite pastorali e al contatto diretto con i fedeli, mostrando sensibilità verso i problemi sociali del territorio veneto che viveva l’epocale passaggio dal mondo  rurale  antico  a  quello  industriale  moderno.  Solleci  con  impegno  la  partecipazione attiva dei laici alla vita della Chiesa. Ebbe attenzione soprattutto alla vita del clero, favorendo la collaborazione  tra  i  sacerdoti,  dedicandosi  alla  cura  delle  vocazioni  e  alla  formazione  dei  giovani sacerdoti.  Affrontò  le  difficoltà  di  governo  con  fortezza  e  serenità.  Si  distinse  anzitutto  nella predicazione, mostrando impareggiabili doti di comunicazione del messaggio evangelico.

Nel corso del suo episcopato, il vescovo Luciani partecipò a tutte le quattro sessioni del Concilio Vaticano  II  (1962-1965).  Trasmise  gli  insegnamenti  e  gli  orientamenti  conciliari  nella  sua  diocesi con  chiarezza  ed  efficacia,  attraverso  la  parola  e  gli  scritti.  Quell’esperienza  ebbe  anche  un  altro effetto non secondario: gli incontri con i vescovi del Terzo Mondo stimolarono il  suo interesse per le missioni.  La  diocesi  fu  immediatamente  coinvolta  e  il  vescovo  inviò  missionari  in  Brasile  e  in Burundi dove, nell’autunno del 1966, egli stesso si recò in visita pastorale…

Il 15 dicembre 1969, Paolo VI lo creava Patriarca di Venezia. Anche a Venezia il Patriarca restò  fedele  all’impostazione  di  lavoro  e  allo  stile  pastorale  vissuti  a  Vittorio  Veneto.  La  sua  vita sobria a beneficio dei poveri e l’attenzione agli ammalati, uniti al temperamento amabile e aperto al dialogo, gli fecero guadagnare le simpatie del popolo veneziano. …

Alla  morte  di  Paolo  VI,  avvenuta  il  6  agosto  del  1978,  il Cardinale  Albino  Luciani  giunse  a  Roma  in  preparazione  del conclave.  Celebrò  la  Messa  nella  chiesa  di  San  Marco  (presso piazza Venezia), di cui portava il titolo cardinalizio. Nell’omelia parlò ai fedeli della Vergine, Madre della Chiesa, sorella nostra, invitando ripetutamente a pregare la Madre di Dio per l’elezione del  futuro  Papa.  Il  26  agosto,  dopo  appena  un  giorno  di conclave,  dalla  loggia  di  San  Pietro  si  affacciava  sorridente  il Cardinale     Felici     a     pronunciare     la     formula     di     rito: “Eminentissimum   ac   reverendissimum   Dominum,   Albinum...”, scandiva  con  tono  solenne,  “…  Sanctae   Romanae   Ecclesiae Cardinalem   Luciani!”.  Albino  Luciani  venne  dunque  eletto 263° successore di San Pietro, prendendo per la prima volta nella  storia  dei  papi  un  doppio  nome:  Giovanni  Paolo  I,  in ossequio ai due pontefici che lo avevano preceduto.

Il  27  agosto  rivolse  il  primo  radiomessaggio  Urbi  et  Orbi  e recitò   il   primo   Angelus   in   piazza   San   Pietro,   rivolgendosi familiarmente  ai  fedeli  senza  usare  il  plurale  maiestatis.  Nel primo discorso alla Sistina elencò i punti programmatici del suo pontificato   e   domenica   3   settembre,   inaugurando   il   suo ministero  di  supremo  pastore  all’insegna  dell’umiltà,  si presentò   alle   migliaia   di   fedeli   chiedendo   l’aiuto   della preghiera: “Intendiamoci: io non ho né la sapientia cordis di Papa Giovanni, né la preparazione e la cultura di Papa Paolo,  però  sono  al  loro  posto,  devo  cercare  di  servire  la Chiesa.    Spero   che    mi   aiuterete   con   le   vostre preghiere”. I primi gesti del suo pontificato fecero subito cogliere il tratto originale di uno stile di vita improntato a spirito di servizio e semplicità evangelica.

I   giornali   cominciarono   a   chiamarlo   “il   papa   del sorriso”.  Si  attendevano  con  trepidazione  le  sue  udienze generali.    Luciani    poté    farne    solo    quattro:    una sull’umiltà (che gli  stava molto  a cuore),  le altre tre sulle virtù teologali: fede, speranza e carità. Come un semplice catechista  qualsiasi.  Recitò  cinque  Angelus  con  breve esortazioni, che leggeremo nella formazione.

Mo nella notte del 28 settembre 1978, per arresto cardiaco. Nel segno di una carità sempre più intensa verso Dio, verso la Chiesa e verso l’umanità si era chiuso il suo breve  ma  esemplare  pontificato.  Il  suo  successore  Karol Wojtyla,     che     prendendone     il     nome     ne     assunse

implicitamente l’eredità, disse: “Trentatre giorni bastano come tempo dell’amore”.   La sua salma fu tumulata nelle Grotte Vaticane il 4 ottobre 1978, sotto la Basilica di San Pietro a Roma.

Il vescovo di Belluno, Vincenzo Savio, il 26 agosto 2002, nella ricorrenza della sua elezione al soglio  pontificio,  aprì  la  sua  causa  di  canonizzazione.  Papa  Francesco  il  13  ottobre  2021  ha autorizzato la promulgazione del decreto sul miracolo che ha aperto la via alla sua beatificazione: la guarigione inspiegabile di  una  bambina  argentina,  Candela Giarda,  allora undicenne da “grave encefalopatia  infiammatoria  acuta,  stato  di  male  epilettico  refrattario  maligno,  shock  settico”, avvenuta nella diocesi di Buenos Aires, il 23 luglio 2011, dopo che il parroco della parrocchia a cui apparteneva il complesso ospedaliero, padre José Dabusti, molto devoto a papa Luciani, si era recato al capezzale della bambina e aveva proposto alla madre, Roxana Sousa, di ricorrere alla sua intercessione. Alle preghiere si unì il personale infermieristico presente in rianimazione.

Giovanni Paolo I sarà beatificato in San Pietro da papa Francesco domenica 4 settembre 2022.

 

 

- Da GIOVANNI PAOLO I, Riflessioni all’Angelus

DOMENICA, 27 AGOSTO 1978

Ieri mattina io sono andato alla Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere. Appena è cominciato il pericolo per me, i due colleghi che mi erano vicini mi hanno sussurrato parole di coraggio. Uno ha detto: «Coraggio! Se il Signore dà un peso, dà anche l'aiuto per portarlo». E l'altro collega: «Non abbia paura, in tutto il mondo c'è tanta gente che prega per il Papa nuovo». Venuto il momento, ho accettato. Dopo si è trattato del nome, perché domandano anche che nome si vuol  prendere e io ci avevo pensato poco.  Ho fatto questo ragionamento:  Papa Giovanni  ha  voluto  consacrarmi  con  le  sue  mani,  qui  nella  Basilica  di  San  Pietro,  poi,  benché indegnamente,  a  Venezia  gli  sono  succeduto  sulla  Cattedra  di  San  Marco,  in  quella  Venezia  che ancora è tutta piena di Papa Giovanni. Lo ricordano i gondolieri, le suore, tutti. Poi Papa Paolo non solo mi ha fatto Cardinale, ma alcuni mesi prima, sulle passerelle di Piazza San Marco, m’ha fatto diventare  tutto  rosso  davanti  a  20.000  persone,  perché  s'è  levata  la  stola  e  me  l'ha  messa  sulle spalle, io non son mai diventato così rosso! D’altra parte in 15 anni di pontificato questo Papa non solo a me, ma a tutto il mondo ha mostrato come si ama, come si serve e come si lavora e si patisce per la Chiesa di Cristo. Per questo ho detto: «Mi chiamerò Giovanni Paolo». Io non ho né la sapientia cordis di Papa Giovanni, né la preparazione e la cultura di Papa Paolo, però sono al loro posto, devo cercare di servire la Chiesa. Spero che mi aiuterete con le vostre preghiere.

 

- Da SR. AGNESE della Piccola Famiglia dell’Annunziata, Lezioni sulla Piccola Regola

Le Sorelle della Piccola Famiglia dell’Annunziata, in 4 fascicoli, hanno trascritto lezioni di sr. Agnese sulla Piccola Regola, fatte negli anni 1988-1993, in particolare per gli sposi. Sr. Agnese ha fatto riferimento a discorsi di don Giuseppe Dossetti degli anni precedenti, che sono ampiamente riportati.

LA REGOLA: UNA GRANDE PREGHIERA

Sr. Agnese riferisce le parole di don Giuseppe, all’incontro tenuto il 1° novembre 1988, Solennità di tutti i santi.

… Bisogna sempre  più  prendere coscienza  che la  Regola  si applica tutta ai coniugati  come si applica tutta ai consacrati, perché davvero la comunità è unica e deve esserlo sempre di più.

Si  applica  tutta  ai  coniugati  nel  senso  che  le  parti  che  possono  essere  ovviamente  diverse devono però essere vissute con la stessa intensità oblativa. Anche quelle più caratteristicamente diverse,  come  le  norme  della  Regola  sulla  castità,  devono  sì  essere  vissute  in  modo  diverso  dai consacrati  e  dai  coniugati,  ma  con  la  stessa  intenzionalità  e  con  la  stessa  misura  di  generosità, questo ho inteso dire dicendo “con la stessa intensità oblativa”. …

Quando l’ho scritta, quasi tutta di getto l’8 settembre 1955, ho concentrato in essa un poco di tutta la mia esperienza passata, l’esperienza di cristiano ridotta proprio all’osso, e anche l’esperienza di  uno  che  aveva  un  po’  studiato,  non  tanto  le  altre  Regola,  perché  nello  scriverla  non  ho  avuto davanti agli occhi nessuna regola altro che quella di san Benedetto, ma la mia esperienza di uomo che aveva studiato una certa disciplina, diciamo in genere il diritto, non solo il diritto della Chiesa, ma   il  diritto  in   genere   e   che   si   sintetizzava   in   un   dato,   che   non   è   frequentissimo   anche nell’esperienza   di   giurista,   e   cioè   la   profonda   convinzione   che   non   solo   bisogna   distinguere teoricamente le norme secondo la loro gerarchia formale e sostanziale, ma che anche i testi giuridici devono rispecchiare questa gerarchia delle norme e il più possibile debbono essere puliti. Di fatto, se  la  Regola  l’ho  scritta  in  poche  ore,  l’ho  molto  pulita  e  limata.  I  testi  devono  essere  puliti  il  più possibile  per  realizzare  una  grande  limpidità  e  un’osservanza  molto  precisa  della  gerarchia  delle norme.

Cosa vuol dire questa gerarchia delle norme? Che non tutte le norme, che possono esistere in un   ordinamento   giuridico,   sono   sul   medesimo   piano;   ce   ne   sono   alcune   supremissime   che governano  tutte  le  altre  e,  talvolta,  quelle  proprio  più  supreme  non  sono  neanche  dette:  sono postulate, implicite, bisogna estrarle dalle norme dette. …

Quindi  questa,  che  è  una  mia  idea  fissa  e  quello  che  mi  è  rimasto  di  tutta  la  mia  esperienza giuridica, l’ho tradotta nel concreto della nostra Regola, perciò è così supremamente concentrata e non c’è nulla, si direbbe, di concreto e di pratico. …

Non  è  che  sia  del  tutto  soddisfatto  del  modo  in  cui  poi,  di  fatto,  è  risultata  la  nostra  Regola. Tante volte sono stato tentato di aggiungere anche qualche cosa d’altro, sia pure un’altra righina. Ma non l’ho fatto! Credo di aver fatto bene, però bisogna che a queste mancanze ovviamo, non tanto aggiungendo  articoli,  ma  pervenendo  a  comprendere  meglio  le  conseguenze  implicite  in  certi articoli;    e    quindi    eventualmente    determinando   i    comportamenti    con    norme    di    carattere regolamentare, applicativo, che restano però distinte anche se sono importanti. Mi sembra che se si è veramente fedeli al Signore e si vuole essere generosi e capire veramente tutta la sostanza delle norme, anche se esse sono poche e supreme, si deducono poi tutte le conseguenze con un’evidenza e   con   una   dinamica   che   appartiene   sempre   di   più   allo   sviluppo   della   persona   e   non   alla moltiplicazione delle norme stesse. …

Ancora sono riferite parole di don Giuseppe, dell’8 dicembre 1988, sull’”Indirizzo iniziale”.

“Al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, Dio onnipotente e misericordioso, alla beata Maria, Madre di Dio, sempre Vergine, Immacolata e Assunta, ai santi Angeli,

a sant’Abramo, padre dei credenti,

a san Giovanni Battista, precursore del Signore, ai santi Apostoli,

a  sant’Ignazio  martire,  a  san  Benedetto,  a  san  Francesco  d’Assisi  e  a  santa  Teresa  di  Gesù Bambino, a san Petronio e ai santi Vitale e Agricola”.

Il  concetto  primario  è  che  l’indirizzo  iniziale  (e  tutto  l’andamento  della  Regola)  dà  ad  essa un’impronta di continua preghiera, di una grande preghiera; non è tanto una serie di norme, quanto una grande e unica preghiera che scende dal principio sino alla fine. Questo mi pareva che fosse la cosa più importante da acquisire…

Dovremmo   intenderla   non   tanto   come   una   enunciazione   di   propositi,   o   tantomeno   una enunciazione di norme, ma piuttosto come una preghiera che rivolgiamo al Signore e ai santi, perché ci  aiutino  rispetto  ai  singoli  propositi  o  norme.  Occorre  orientare  il  nostro  spirito  alla  preghiera, altrimenti c’è il grosso rischio che la Regola ci scalfisca poco e anche se la imparassimo a memoria –  vi  dico  subito  che  io  stesso  non  so  a  memoria  neanche  un  paragrafo  intero  –  anche  se  la imparassimo tutta a memoria, ma poi non la custodissimo in questo spirito di preghiera, nel cuore, e  non  la  rileggessimo  come  richiesta  rivolta  fondamentalmente  al  Signore  e  ai  suoi  santi,  perché realizzino in noi i singoli enunciati della Regola, anche se facessimo tutto e non facessimo questo, non riusciremmo ancora a penetrare nello spirito della Regola e, tantomeno, ad attuarla.

C’è una portata ecclesiologica nell’indirizzo perché (anche se non si enuncia espressamente, è tuttavia detto con un’estrema concretezza) dice la nostra fede: la comunità non può essere intesa come  comunità  orizzontale  dei  singoli  membri  che  la  compongono,  e  neppure  dei  singoli  membri della Chiesa universale intesa orizzontalmente; ma è intesa prima di tutto come comunità verticale.

La comunità si apre all’alto e all’ingresso di queste persone viventi con noi e che già vivono una vita senza limiti, senza più infermità, senza problemi e che operano anche su di noi con uno scambio operante  e  continuamente  fecondo.  La  Chiesa  è  questo.  E  la  nostra  comunità  è  anzitutto  questo: mistero di Cristo e quindi apertura a Dio e a questi membri che sono reali più di noi stessi.