7° incontro

  • Da DIRETTORIO

Dir.  2.4.3  §  6)  Nella  meditazione  personale  e  nell’orazione  intima  e  libera si  accolga  l’invito  ad entrare con Gesù nella volontà del Padre. Occorre indubbiamente un certo tempo e spazio per trovare un rapporto personale con Dio e per rimanere da figli con grande fiducia davanti al Padre. Il Signore è vicino, ci ascolta anche se risponde con i suoi tempi, ma sempre per il bene nostro e di tutti; il Signore gradisce la preghiera carica di audacia, gradisce infatti che gli si chiedano cose grandi.

 

  • Da SR. AGNESE della Piccola Famiglia dell’Annunziata, Lezioni sulla Piccola Regola

LO SPIRITO E IL NOSTRO RAPPORTO COL PADRE

In  secondo luogo c’è il  nostro penetrare,  attraverso lo Spirito,  nel  Padre.  La prima operazione dello Spirito è di farci sapere che il Cristo è Dio: che Gesù è il Cristo e che è Dio e che è il Signore, quindi  metterci in  rapporto di  fede con  Cristo.  L’operazione immediatamente successiva è  di  farci arrivare,  attraverso  Cristo,  al  Padre:  è  ancora  lo  Spirito  che  ci  fa  arrivare  al  Padre;  questo  è chiaramente  espresso  nella  lettera  agli  Efesini  (2,18):  “Gesù,  venendo,  ha  annunziato  la pace  ai lontani  e  ai  vicini,  perché  per  mezzo  di lui  abbiamo  l’accesso  –  vicini  e  lontani  –  in un unico  Spirito,  al Padre”.   L’accesso   al   Padre   è   la   sete  dell’umanità;   l’accesso   al   Dio   irraggiungibile,   al   Dio trascendente, che nessuna creatura umana ha mai potuto vedere senza morire.

Ora, già da quaggiù noi abbiamo l’accesso al Padre. Quando celebriamo l’Eucarestia noi stiamo dentro la  Trinità,  l’Eucarestia  si  celebra  lì!  Ed  è  lo  Spirito  Santo  che  ci  introduce,  che  ci  apre  la porta:  questa  porta  invalicabile  era  custodita  dai  cherubini  con  la  fiamma  roteante  ed  è rimasta custodita  così  fino  a  che  Cristo  non  ci  ha  aperto  la  strada,  attraverso  il  velo,  al Santo dei  Santi. Nessuno  poteva  arrivarci  senza  bruciare,  ma  noi  ci  arriviamo:  attraverso  il Cristo, nello Spirito, possiamo toccare il Padre, possiamo toccare Dio, possiamo entrare in questa luce inaccessibile. Non ce  ne  accorgiamo,  siamo  distratti,  pensiamo  ad  altro,  ma  di  fatto  è  così. Ogni  volta  che all’inizio della Messa si dice: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” è un tuffo nella Trinità, e la Messa è celebrata lì, perché è lì che si opera il mistero.

 

  • Da LA PREGHIERA, relazione del 22 gennaio 2022 preparata da s Anna, II parte

Testi estratti dal libretto di Adinolfi-Gaeta, “Preghiera di donne”

SIMONE WEIL, giovane filosofa, nel 1940, mentre la Francia è parzialmente occupata dai nazisti, lascia Parigi, e dopo diversi spostamenti infine si trasferisce con i genitori a Marsiglia… Qui, tra il 1940 e il 1942 vivrà uno dei periodi spiritualmente più fecondi della sua vita. Vi aveva conosciuto un   giovane  padre   domenicano,   con   il   quale   aveva   continuato   a   intrattenere   uno   scambio epistolare… Mentre  lavorava  in  una  fattoria  agricola,  dove  aveva  trovato  ospitalità  ed  insegnava greco al suo ospite, Simone aveva pensato di utilizzare il testo del Pater. E fu allora che la dolcezza di  quel  testo la  conquistò  a  tal  punto  che  per  alcuni  giorni  non  poté  fare  a  meno  di  recitarlo ininterrottamente  fra  sé  e  sé,  e  quando  più  tardi  cominciò  a  vendemmiare,  ogni  giorno,  prima di iniziare il lavoro, recitava il Pater in greco e spesso lo ripeteva nel vigneto. Da quel momento in poi si propose  di  recitarlo  ogni  mattina  con  attenzione  assoluta.  “Se mentre lo recito la mia attenzione divaga o si assopisce, anche solo in misura infinitesimale, ricomincio daccapo fino a che non abbia ottenuto per una volta un’attenzione assolutamente pura”.

È  facile  intuire  da  questa  citazione  quanto  il  concetto  di  “attenzione”  sia  importante  per comprendere la sua concezione della preghiera. Pregare infatti per lei ebrea francese non significa altro che orientare verso Dio tutta lattenzione di cui l’anima è capace… In questa prospettiva, l’attenzione applicata agli studi scolastici è una preparazione e un’educazione a quell’attenzione più elevata  e  intensa  che  la  pratica  del  pregare  richiede…  Per  Simone  l’attenzione  non  è  un  atto di volontà,  non  è  uno  sforzo  muscolare.  Non  è  una  costrizione.  Nella  sua  esperienza d’insegnante  si era  accorta  che  quando  esortava  gli  allievi  a  prestare  attenzione,  li  vedeva corrugare  la  fronte, trattenere  il  fiato,  contrarre  i  muscoli,  ma  se  qualche  istante  dopo domandava  loro  a  che  cosa avevano fatto attenzione, non erano in grado di rispondere. In realtà, non avevano fatto attenzione, avevano semplicemente contratto i muscoli.

Se non è costrizione, l’attenzione non è neppure una qualità innata o qualcosa che accade senza il nostro consenso: essa presuppone un lavoro, comporta uno sforzo, forse più grande di ogni altro, ma si tratta di uno sforzo negativo. Per guardare con attenzione un bel dipinto, ascoltare un brano musicale e a maggior ragione per pregare Dio è necessario liberare la mente dalle preoccupazioni, pensieri, volizioni personali, fare il vuoto in se stessi.  Lattenzione è attesa (i due termini hanno la stessa radice) e, come l’attesa, presuppone che si sia lasciata da parte ogni altra occupazione e ogni altro scopo e si sia tutti rivolti a ciò che accade. Per fare attenzione occorrono dunque il lavoro e lo sforzo con cui la volontà e l’io tolgono se stessi per rendersi disponibili ad accogliere e lasciarsi colmare da un altro. “L’attenzione è distaccarsi da sé e rientrare in se stessi, così come si inspira e espira”. Ma  se  per conoscere  la  verità  occorre  fare  attenzione,  per  essere  attenti  bisogna  desiderare  la verità…

E  per  lei  il  puro  desiderio  della  verità  ha  accesso  alla  verità,  qualunque  sia  il  grado  di intelligenza  di  colui  che  così  desidera,  come  aveva  compreso  appena  quattordicenne,  quando  a motivo del confronto con  il  geniale fratello era caduta in  una disperazione tipica dell’adolescenza, perché aveva temuto che a causa delle sue “mediocri facoltà naturali” la verità le fosse negata.

“Non rimpiangevo i successi esteriori, bensì di non poter sperare in alcun modo di accedere a quel regno trascendente ove entrano soltanto gli uomini di autentica grandezza e ove abita la verità. Avrei preferito morire anziché vivere senza di essa. Dopo mesi di tenebre interiori, all’improvviso e per sempre ho avuto la certezza che qualsiasi essere umano, anche se le sue facoltà naturali sono quasi nulle, penetra nel regno della verità riservato al genio, se solo desidera la verità e fa un perpetuo sforzo d’attenzione per attingerla” …

Non si deve pregare Dio, il Padre nostro che è nei cieli, per chiedergli qualcosa, fosse anche  la più nobile ed elevata, a cui la nostra volontà miri quale “suo” scopo. Come recita la preghiera che Gesù ci ha insegnato… bisogna pregare Dio affinché sia fatta la sua volontà, qualunque essa sia… E l’esito dell’orazione così concepita è quello di assimilarci a Dio, di renderci perfetti come il Padre nostro che è nei cieli, di amare il mondo come Lui lo ama, in modo imparziale: “Siate figli del Padre vostro  celeste,  che  fa  sorgere  il  suo  sole  sopra  i  malvagi  e  sopra  i  buoni,  e  fa  piovere  sopra  i  giusti  e sopra gli ingiusti” (Mt  5,45).

Ma    se    nella    preghiera    diveniamo    suoi    figli,    simili    a    Lui    nell’amore,    nell’imitazione dell’indiscriminata distribuzione della pioggia e della luce del sole, tale filiazione e assimilazione non sono  però  una  conquista  dell’uomo.  Per  Simone  Weil  è  Dio  che  ci  innalza  e  rende  suoi  figli. Se dunque  il  desiderio  orientato  verso  Dio  è  l’unica  forza  capace  di  elevare  l’anima,  a  tale desiderio risponde  l’azione  di  Dio  che  viene  ad  afferrare  l’anima  e  a  elevarla.  “Egli  viene  per coloro  che  gli chiedono di venire; per quelli che glielo chiedono spesso, a lungo, con ardore… Dio non può esimersi dal discendere verso di loro” …

Dio, per Simone Weil, è il Dio Amore dell’Evangelo, che si fa presente a chi lo ama e invoca nella preghiera, pura e disinteressata, com’è accaduto a lei durante la recitazione del Pater.

“La  virtù  di  questa  pratica  è  straordinaria  e  ogni  volta  mi  sorprende,  perché,  pur  sperimentandola quotidianamente, supera ogni volta le mie attese. Talora già le prime parole strappano il mio pensiero dal mio corpo per trasportarlo in un luogo fuori dello spazio, dove non c’è né prospettiva né punto di vista. Lo spazio  si  apre.  All’infinità  dello  spazio  ordinario  della  percezione  si  sostituisce  un’infinità  alla  seconda  o talvolta alla terza potenza. Nello stesso tempo quest’infinità si riempie da parte a parte di silenzio, un silenzio che non è assenza di suono, bensì oggetto di una sensazione positiva, più positiva di quella di un suono. I rumori, se ve ne sono, giungono a me solo dopo aver attraversato quel silenzio. E a volte, durante queste recitazioni o in altri momenti, il Cristo è presente in persona, ma con una presenza infinitamente più reale, più toccante, più nitida e colma d’amore di quella della prima volta in cui mi ha presa”.