- Da DIRETTORIO
Dir. 2.4.3 § 6) Nella meditazione personale e nell’orazione intima e libera si accolga l’invito ad entrare con Gesù nella volontà del Padre. Occorre indubbiamente un certo tempo e spazio per trovare un rapporto personale con Dio e per rimanere da figli con grande fiducia davanti al Padre. Il Signore è vicino, ci ascolta anche se risponde con i suoi tempi, ma sempre per il bene nostro e di tutti; il Signore gradisce la preghiera carica di audacia, gradisce infatti che gli si chiedano cose grandi.
- Da SR. AGNESE della Piccola Famiglia dell’Annunziata, Lezioni sulla Piccola Regola
LO SPIRITO E IL NOSTRO RAPPORTO COL PADRE
In secondo luogo c’è il nostro penetrare, attraverso lo Spirito, nel Padre. La prima operazione dello Spirito è di farci sapere che il Cristo è Dio: che Gesù è il Cristo e che è Dio e che è il Signore, quindi metterci in rapporto di fede con Cristo. L’operazione immediatamente successiva è di farci arrivare, attraverso Cristo, al Padre: è ancora lo Spirito che ci fa arrivare al Padre; questo è chiaramente espresso nella lettera agli Efesini (2,18): “Gesù, venendo, ha annunziato la pace ai lontani e ai vicini, perché per mezzo di lui abbiamo l’accesso – vicini e lontani – in un unico Spirito, al Padre”. L’accesso al Padre è la sete dell’umanità; l’accesso al Dio irraggiungibile, al Dio trascendente, che nessuna creatura umana ha mai potuto vedere senza morire.
Ora, già da quaggiù noi abbiamo l’accesso al Padre. Quando celebriamo l’Eucarestia noi stiamo dentro la Trinità, l’Eucarestia si celebra lì! Ed è lo Spirito Santo che ci introduce, che ci apre la porta: questa porta invalicabile era custodita dai cherubini con la fiamma roteante ed è rimasta custodita così fino a che Cristo non ci ha aperto la strada, attraverso il velo, al Santo dei Santi. Nessuno poteva arrivarci senza bruciare, ma noi ci arriviamo: attraverso il Cristo, nello Spirito, possiamo toccare il Padre, possiamo toccare Dio, possiamo entrare in questa luce inaccessibile. Non ce ne accorgiamo, siamo distratti, pensiamo ad altro, ma di fatto è così. Ogni volta che all’inizio della Messa si dice: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” è un tuffo nella Trinità, e la Messa è celebrata lì, perché è lì che si opera il mistero.
- Da LA PREGHIERA, relazione del 22 gennaio 2022 preparata da s Anna, II parte
Testi estratti dal libretto di Adinolfi-Gaeta, “Preghiera di donne”
SIMONE WEIL, giovane filosofa, nel 1940, mentre la Francia è parzialmente occupata dai nazisti, lascia Parigi, e dopo diversi spostamenti infine si trasferisce con i genitori a Marsiglia… Qui, tra il 1940 e il 1942 vivrà uno dei periodi spiritualmente più fecondi della sua vita. Vi aveva conosciuto un giovane padre domenicano, con il quale aveva continuato a intrattenere uno scambio epistolare… Mentre lavorava in una fattoria agricola, dove aveva trovato ospitalità ed insegnava greco al suo ospite, Simone aveva pensato di utilizzare il testo del Pater. E fu allora che la dolcezza di quel testo la conquistò a tal punto che per alcuni giorni non poté fare a meno di recitarlo ininterrottamente fra sé e sé, e quando più tardi cominciò a vendemmiare, ogni giorno, prima di iniziare il lavoro, recitava il Pater in greco e spesso lo ripeteva nel vigneto. Da quel momento in poi si propose di recitarlo ogni mattina con attenzione assoluta. “Se mentre lo recito la mia attenzione divaga o si assopisce, anche solo in misura infinitesimale, ricomincio daccapo fino a che non abbia ottenuto per una volta un’attenzione assolutamente pura”.
È facile intuire da questa citazione quanto il concetto di “attenzione” sia importante per comprendere la sua concezione della preghiera. Pregare infatti per lei ebrea francese non significa altro che orientare verso Dio tutta l’attenzione di cui l’anima è capace… In questa prospettiva, l’attenzione applicata agli studi scolastici è una preparazione e un’educazione a quell’attenzione più elevata e intensa che la pratica del pregare richiede… Per Simone l’attenzione non è un atto di volontà, non è uno sforzo muscolare. Non è una costrizione. Nella sua esperienza d’insegnante si era accorta che quando esortava gli allievi a prestare attenzione, li vedeva corrugare la fronte, trattenere il fiato, contrarre i muscoli, ma se qualche istante dopo domandava loro a che cosa avevano fatto attenzione, non erano in grado di rispondere. In realtà, non avevano fatto attenzione, avevano semplicemente contratto i muscoli.
Se non è costrizione, l’attenzione non è neppure una qualità innata o qualcosa che accade senza il nostro consenso: essa presuppone un lavoro, comporta uno sforzo, forse più grande di ogni altro, ma si tratta di uno sforzo negativo. Per guardare con attenzione un bel dipinto, ascoltare un brano musicale e a maggior ragione per pregare Dio è necessario liberare la mente dalle preoccupazioni, pensieri, volizioni personali, fare il vuoto in se stessi. L’attenzione è attesa (i due termini hanno la stessa radice) e, come l’attesa, presuppone che si sia lasciata da parte ogni altra occupazione e ogni altro scopo e si sia tutti rivolti a ciò che accade. Per fare attenzione occorrono dunque il lavoro e lo sforzo con cui la volontà e l’io tolgono se stessi per rendersi disponibili ad accogliere e lasciarsi colmare da un altro. “L’attenzione è distaccarsi da sé e rientrare in se stessi, così come si inspira e espira”. Ma se per conoscere la verità occorre fare attenzione, per essere attenti bisogna desiderare la verità…
E per lei il puro desiderio della verità ha accesso alla verità, qualunque sia il grado di intelligenza di colui che così desidera, come aveva compreso appena quattordicenne, quando a motivo del confronto con il geniale fratello era caduta in una disperazione tipica dell’adolescenza, perché aveva temuto che a causa delle sue “mediocri facoltà naturali” la verità le fosse negata.
“Non rimpiangevo i successi esteriori, bensì di non poter sperare in alcun modo di accedere a quel regno trascendente ove entrano soltanto gli uomini di autentica grandezza e ove abita la verità. Avrei preferito morire anziché vivere senza di essa. Dopo mesi di tenebre interiori, all’improvviso e per sempre ho avuto la certezza che qualsiasi essere umano, anche se le sue facoltà naturali sono quasi nulle, penetra nel regno della verità riservato al genio, se solo desidera la verità e fa un perpetuo sforzo d’attenzione per attingerla” …
Non si deve pregare Dio, il Padre nostro che è nei cieli, per chiedergli qualcosa, fosse anche la più nobile ed elevata, a cui la nostra volontà miri quale “suo” scopo. Come recita la preghiera che Gesù ci ha insegnato… bisogna pregare Dio affinché sia fatta la sua volontà, qualunque essa sia… E l’esito dell’orazione così concepita è quello di assimilarci a Dio, di renderci perfetti come il Padre nostro che è nei cieli, di amare il mondo come Lui lo ama, in modo imparziale: “Siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,45).
Ma se nella preghiera diveniamo suoi figli, simili a Lui nell’amore, nell’imitazione dell’indiscriminata distribuzione della pioggia e della luce del sole, tale filiazione e assimilazione non sono però una conquista dell’uomo. Per Simone Weil è Dio che ci innalza e rende suoi figli. Se dunque il desiderio orientato verso Dio è l’unica forza capace di elevare l’anima, a tale desiderio risponde l’azione di Dio che viene ad afferrare l’anima e a elevarla. “Egli viene per coloro che gli chiedono di venire; per quelli che glielo chiedono spesso, a lungo, con ardore… Dio non può esimersi dal discendere verso di loro” …
Dio, per Simone Weil, è il Dio Amore dell’Evangelo, che si fa presente a chi lo ama e invoca nella preghiera, pura e disinteressata, com’è accaduto a lei durante la recitazione del Pater.
“La virtù di questa pratica è straordinaria e ogni volta mi sorprende, perché, pur sperimentandola quotidianamente, supera ogni volta le mie attese. Talora già le prime parole strappano il mio pensiero dal mio corpo per trasportarlo in un luogo fuori dello spazio, dove non c’è né prospettiva né punto di vista. Lo spazio si apre. All’infinità dello spazio ordinario della percezione si sostituisce un’infinità alla seconda o talvolta alla terza potenza. Nello stesso tempo quest’infinità si riempie da parte a parte di silenzio, un silenzio che non è assenza di suono, bensì oggetto di una sensazione positiva, più positiva di quella di un suono. I rumori, se ve ne sono, giungono a me solo dopo aver attraversato quel silenzio. E a volte, durante queste recitazioni o in altri momenti, il Cristo è presente in persona, ma con una presenza infinitamente più reale, più toccante, più nitida e colma d’amore di quella della prima volta in cui mi ha presa”.