- Da STATUTO e DIRETTORIO
Dir. 2.5.1 § 1) La vita fraterna. Il Signore vuole che la risposta al suo amore leghi, con vincoli di carità, i consacrati fra di loro, nel Suo Nome, formando famiglia e comunità. Non si può rimanere estranei gli uni agli altri, occorre conoscersi per amarsi di un amore soprannaturale, che non è di parole né di sentimenti, ma impegna reciprocamente alla pazienza, alla mitezza, alla comprensione, alla stima, all’aiuto fraterno. A questo scopo è importante vivere la comunione a piccoli gruppi di fraternità.
St. 2.5.2 § 1) Tutti insieme, pur diversi per età, cultura, carattere, doni e relativi stati di vita, si è chiamati alla santificazione: ogni consacrato ami la Comunità donata da Dio che lo aiuta a corrispondere alla propria vocazione e compia puntualmente ogni incarico affidatogli.
- Da LA VITA FRATERNA nella nostra Comunità di figli di Maria di Nazareth, relazione del 29 gennaio 2022 di Michele e Michela, I parte
“Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri,
se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi.
Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!
La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù,
rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre” (Col 3,12-17).
Oggi ci confronteremo sul terzo “pilastro” della nostra piccola famiglia nella Chiesa: “LA VITA FRATERNA”.
Dopo aver riflettuto sulla “Parola di Dio” e la “Preghiera” (di cui abbiamo parlato nei sabati scorsi), vorrei partire da un breve pensiero.
Una comunità è tale, come la famiglia, perché chiamata a vivere per origini o scelte che li accomunano. Per noi sono appunto il coinvolgimento nella nostra vita quotidiana della Parola di Dio e della Preghiera, sia personale che Liturgica.
Come nella famiglia ci sono alti e bassi e si maturano le scelte, si cambia il modo di affrontare la vita e i problemi perché si cresce o si cade, così non può esserci comunità se non c’è uno spazio di condivisione e di aiuto reciproco in questo cammino. Se si vivono i primi due aspetti (cioè la Parola di Dio e la Preghiera) senza una fraternità non può esserci comunità.
È importante il cammino di fede personale con una direzione spirituale, ci rende parte della Chiesa, ci conduce nella carità, ma non è la comunità, così come non può esserci una famiglia se non vi sono punti di incontro concreti.
Nella comunità c’è la corresponsabilità nel portare i fratelli e farsi accompagnare e sostenere dai fratelli.
Nel Dizionario Biblico si specifica: “L’amore fraterno si esercita anzitutto in seno alla comunità credente, … non ha nulla di platonico, perché pur cercando di raggiungere tutti gli uomini si esercita all’interno della piccola comunità”.
Papa Francesco ci invita nella lettera enciclica “Fratelli Tutti” (n. 89): “L’amore che è autentico, che aiuta a crescere, e le forme più nobili di amicizia abitano cuori che si lasciano completare. Il legame di coppia e di amicizia è orientato ad aprire il cuore attorno a sé, a renderci capaci di uscire da noi stessi fino ad accogliere tutti”.
Sempre il Papa prosegue: “I gruppi chiusi e le coppie autoreferenziali, che si costituiscono come un noi contrapposto al mondo intero, di solito sono forme idealizzate di egoismo”.
La vita fraterna, nella nostra Comunità dei Figli di Maria di Nazareth, dalle origini ha preso una forma che si è definita attraverso incontri tra tutti coloro che hanno intrapreso questo cammino, e come sentivano forte il valore di trovarsi nelle case settimanalmente, così hanno dato forma a momenti di incontro tra le varie case e cenacoli, per rafforzare la condivisione sulla Parola di Dio; hanno così preso corpo i Ritiri e le Convivenze che erano seriamente partecipate e poste come un momento importante nelle scelte di vita delle famiglie.
Purtroppo nel tempo queste forme di incontro sono sempre più “mordi e fuggi” e forse non realizzano pienamente il loro intento. Dovremmo essere tutti animatori attivi di questi momenti perché abbiano un valore, il rischio è che stiano prendendo la forma di “conferenze” animate da alcuni ma non è questa la natura di queste convocazioni e non è un caso che sia un “impegno” per i consacrati.
Alcune cause di questo affievolirsi nella partecipazione potrebbero essere le seguenti.
L’oggettivo stato dei consacrati: salute, età, la famiglia … che non permettono di dedicarsi all’intero appuntamento.
È cambiata la modalità di presentazione del cammino stesso della Comunità, non si valorizza il significato della vita fraterna che può crescere solo in una condivisione concreta e non solo raccontata; un servizio reciproco, e sottolineo reciproco, che sostiene tutti.
Una vita fraterna si realizza vivendola, non è un ideale.
- Da SR. AGNESE della Piccola Famiglia dell’Annunziata, Lezioni sulla Piccola Regola
LO SPIRITO E L’EDIFICAZIONE DELLA COMUNITÀ
1Cor 12,12ss: “Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un solo corpo, così anche il Cristo. Infatti in un solo Spirito noi tutti siamo stati battezzati in un solo corpo, sia Giudei sia Greci, sia schiavi sia liberi, e tutti ci siamo abbeverati a un medesimo Spirito”.
Siamo stati battezzati, immersi – la formula sarebbe questa – in un solo Spirito per un solo corpo, cioè immersi in un solo Spirito che ci conduce a essere un solo corpo: questo tuffo nello Spirito in qualche modo ci costringe, ci spinge a fare un solo corpo, perché lo Spirito è la forza legante, l’anima unificante. Tenete presente che Paolo parla di “Giudei e Greci”; e ancora: “schiavi e liberi”. Paolo ha citato quelle distinzioni che potevano essere le più radicali del suo mondo. Tutte le divisioni o le distinzioni o le discriminazioni che ci possono essere tra noi, per psicologia, per tagli diversi, per lavori, per situazioni ecc. sono certamente molto meno di queste; invece san Paolo dice che tutti siamo immersi in un unico Spirito e unificati in un solo corpo. A tutti i livelli questa unità, questa forza unificante è lo Spirito Santo: nelle vostre famiglie, fra ciascun membro della vostra famiglia, fra voi famiglie; all’interno di ciascun nucleo di fratelli e di sorelle; fra di loro, tra di noi e tutte le famiglie, la forza unificante è sempre e solo lo Spirito Santo. … È un’unità che ha bisogno di un grande spessore e di una grande intensità tanto voi quanto per noi, e per noi e voi insieme.
… È mai possibile che il fatto di una certa distanza logistica possa attenuarla? Certamente no! Lo percepiamo meno, non ne abbiamo un’esperienza diretta, ma certamente c’è questa stessa unità e per farla crescere non c’è altro che invocare lo Spirito. … Questo dà moltissima speranza, però a patto che si faccia sul serio e con fede l’invocazione dello Spirito, anche in ordine alla nostra unità, al nostro impasto che il Signore vuole fare.
Dice don Giuseppe (1976): “Il respiro comunitario è il respiro dello Spirito Santo. La cosa che dovremmo fare è stare fermi e invocare lo Spirito Santo. (Lo diceva soprattutto per il superiore). Quando si sente che le nostre cose sono un pochino slegate, disarticolate, invece di fare operazioni correttive e compensative, mettersi a invocare lo Spirito Santo con una supplica che riporti al centro dell’unità”.
Un’ultimissima cosa che prendo ancora dal discorso del ’76: “Il Battesimo non è altro che un tuffo nello Spirito, perciò l’invocazione dello Spirito ci riporta a livello del nostro atto generante – il Battesimo – e intensifica così l’unità. Tutti ci siamo dissetati allo stesso Spirito: dev’essere la nostra sete, dobbiamo essere assetati dello Spirito Santo. Un’anima che viva nella tensione dello Spirito Santo non è mai sazia di invocarlo. Senza questo rapporto con lo Spirito la nostra vita perde di senso”.
Questo don Giuseppe lo diceva per noi che siamo in comunità perché per noi la cosa è macroscopica, la nostra vita non ha alcun senso: non ci spendiamo per nessuno, non facciamo del bene a nessuno, non abbiamo alcuna attività, non ci realizziamo in nessuna professione. Niente. La nostra vita ha senso solo se nello Spirito Santo crediamo che l’offerta delle nostre piccole cose al Signore vale per la Chiesa. Anche per voi non è poi molto diversa la cosa: se il Signore vi ha scelti per questo tipo di vita, anche per voi la vocazione è poi sostanzialmente, come dice don Giuseppe, dossologica, impetratoria ed escatologica. Anche per voi il centro della vostra vita non è la professione, né la realizzazione di questo o quell’altro, è sempre e soltanto la lode e la supplica cioè la vita di fede. Anche per voi non credo che valga l’idea, che può essere per altri, di accontentarsi di una certa realizzazione esterna o storica immediata; non può bastarvi, perché la nostra vita, come la vostra, è una vita che si muove su un altro piano, altrimenti non sareste legati alla comunità. Certo per voi la professione è un servizio fatto con amore e con fedeltà, ma non è la vostra vita, non è il vostro scopo o la vostra realizzazione, è il vostro servizio, la vostra obbedienza, questo sì, ma la vostra realizzazione è come per noi, non c’è differenza.