10° incontro

  • Da STATUTO o DIRETTORIO

Dir. 1.1 § 5) Tutti i membri della Comunità, anche se lontani fra loro, vivono la stessa vocazione e attingono la forza spirituale per la loro perseveranza dalla Parola di Dio, dalla preghiera e dalla vita fraterna.

Dir. 1.3 § 1) Glorificano Dio nel perseguire la santità, cioè la volontà di Dio, non solo personalmente ma insieme, con chi il Signore ha posto vicino, come membri di una stessa famiglia, aiutandosi.

St. 2.5.3 § 1) I consacrati tengano il cuore aperto alla missione. Portare Cristo in noi e tra noi per renderlo presente e offrirlo agli altri come il Bene più grande è l'opera di evangelizzazione possibile a  tutti.  A  tal  fine  ogni  consacrato  dia  una  testimonianza  umile  e  autentica  di  preghiera  e  di  vita cristiana, con capacità di amore e di servizio ovunque, a partire dai più vicini, in casa, nel lavoro. Si sia operatori di pace, generosi e pazienti nella propria realtà concreta.

 

  • Da LA VITA FRATERNA nella nostra Comunità di figli di Maria di Nazareth, relazione del 29 gennaio 2022 di Michele e Michela, II parte

La  direzione  spirituale,  un  cammino  personale  aiutato  e  guidato  sulla  Parola  di  Dio  è  un percorso prezioso e indispensabile nella vita di fede. La vita comunitaria, che per noi è anche la vita fraterna,  richiede  la  scelta  di  prendersi  carico  del  proprio  cammino  ma  anche  di  sostenere  il cammino degli altri con la preghiera e la presenza.

Non può esserci la comunità senza la presenza reale di tutti.

 

Anche oggi è un momento di vita fraterna, partecipato e di questo ringraziamo, pur con i limiti della distanza e della video-conferenza.

È  molto  importante,  fondamentale  che  ognuno  di  noi  oggi  sia  presente  a  questo  momento  di vita  fraterna.  Ovviamente  la  presenza,  la  vicinanza,  l’esserci  a  tu  per  tu  è  un’altra  cosa  ed  è un valore nella crescita e nella condivisione.

Non a caso oggi si evidenziano tutta una serie di problemi di socialità, a tutti i livelli, dai giovani agli anziani,  a  tutti  gli  stati  di  vita,  per  effetto  delle  mutazioni  degli  stili  di  vita  causati  dalla pandemia …

L’invito  che  faccio  ad  ognuno  di  noi  è  valorizzare  sempre  di  più  i  due  polmoni  della  nostra comunità: personale e fraterno.

Agli impegni e al cammino individuale/personale che ognuno di noi fa, inserito e a fianco degli altri nella propria  giornata,  diventa  fondamentale  coltivare,  apprezzare  e  cercare  di  tenere  come momento essenziale anche le convocazioni e i momenti insieme che permettono la crescita della vita fraterna nel confronto e nella condivisione.

Un professore universitario ad ognuno dei suoi studenti spiegava: se tu hai un euro e me lo dai e nel contempo io ho un euro e te lo do ognuno di noi torna a casa sempre con un euro. Se invece io ho un’idea e te la riporto e tu hai un’idea e me la condividi ognuno di noi torna a casa con due idee. Questo a livello della conoscenza.

Pensate nel nostro cammino a livello di esperienza, di testimonianza di fede, di esempio…  Ogni sorella/fratello diventa uno strumento di crescita ed arricchimento per gli altri e la Comunità con tutti i suoi membri si edifica e cresce.

L’AMORE VERSO IL PROSSIMO

“Maria  invita  alla  condivisione  dei  doni  della  Parola  della  Preghiera  con  i  fratelli,  a  partire da quelli della Comunità; pertanto i consacrati sono chiamati a vivere la vita fraterna e a muoversi nel servizio e nella testimonianza della carità di Cristo” (St. 2.5).

“Come Maria che porta con Gesù ogni dono di Dio, in fretta e nella lontana casa di Zaccaria ed Elisabetta,  anche  noi  desideriamo  portare  Cristo  e  la  sua  Parola  nelle  nostre  case,  di  famiglia in famiglia, e negli ambienti in cui viviamo” (Dir. 2.5).

“Dio non solo ci ama, ma assume la nostra vita per non distinguersi da noi. I santi in qualche modo si distinguono, ma Gesù no: è «il figlio del falegname». È l’amore che l’ha reso in tal modo simile a tutti. Così anche noi dobbiamo assimilarci ai nostri fratelli nell’amore” (Dal “Vademecum”, DON DIVO BARSOTTI – vedi Notiziario 166 pag.16).

Possiamo partire da questa piccola riflessione per uno scambio:

  • Ho sentito parlare e ho mai riflettuto sulla vita fraterna in Comunità?
  • Come si può contribuire alla crescita della vita fraterna in Comunità?

 

  • Da SR. AGNESE della Piccola Famiglia dell’Annunziata, Lezioni sulla Piccola Regola

LO SPIRITO E LA FEDE

1Cor 12,9, nell’elencare i carismi dice: “… a un altro la fede nel medesimo Spirito”. Nel battesimo tutti abbiamo ricevuto la fede, ma qui Paolo sta parlando della fede in quanto carisma, perché sta facendo l’elenco dei carismi. Fede come carisma vuol dire la fede operante, cioè quella fede che è messa  in opera  per  ottenere  l’intervento  del  Signore,  forza  di  fede  più  viva  e  operante,  che  è  un carisma. Bisogna chiederlo il carisma della fede, perché abbiamo molto bisogno di essere gente di fede, cioè gente che fa leva sulla fede in  tutte le sue scelte,  nei  suoi  giudizi,  nelle sue valutazioni, per il mondo di fronte a cui viviamo, che pone problemi gravissimi ed estremi. Voi che ci siete più dentro lo sapete meglio di me che il mondo pone problemi gravi, e non in generale, ma di continuo, problemi con cui  siamo  continuamente  confrontati  in  modo  diretto,  quindi  la  fede  deve  diventare una  leva assoluta  nel  giudizio  e  nell’invocazione  dell’intervento  di  Dio,  altrimenti  andiamo  senza bussola in questo mondo.

Diceva don Giuseppe: “Contatto con le persone, anche con quelle che possono sembrare banali, perché in ogni anima ci sono strati delicati e sensibili e con problematiche acute; perfino i loro errori ci confrontano e ci contestano”. La maggior parte di  voi ha impegni che mettono a contatto con le persone,  ma  se  c’è  una  attenzione  non  superficiale  alle  loro  anime,  molto  spesso  si percepiscono grandi problematiche e difficoltà; lì dobbiamo stare molto attenti e operare con la fede per vedere le loro anime, le loro pene, le loro difficoltà e per ottenere dal Signore il suo intervento diretto e quello che indirettamente Dio vuole fare per loro.

Don Giuseppe dice: “Solo lo Spirito ci può dare questa fede: pura, piena, disinteressata, dono purissimo dello Spirito, che non cerca nulla per noi e tutto per il Signore”.

 

  • Da IL  MISTERO  PASQUALE, CENTRO  DELLA  LITURGIA, Tesi di laurea presso la  Facoltà teologica, giugno 2020

L’Eucaristia  è  il  sacramento  in  cui  si  concentra  tutta  l’opera  della  Redenzione:  in  Gesù Eucaristia  possiamo  contemplare  la  trasformazione  della  morte  in  vita,  della  violenza  in  amore. Nascosta sotto i veli del pane e del vino, riconosciamo con gli occhi della fede la stessa gloria che si manifestò  agli  Apostoli  dopo  la  Risurrezione,  e  che  Pietro,  Giacomo  e  Giovanni  contemplarono in anticipo sul monte, quando Gesù si trasfigurò davanti a loro.

Ecco  perché  l’Eucaristia  è  cibo  di  vita eterna,  Pane della vita.  Dal  cuore  di  Cristo,  dalla  sua “preghiera eucaristica” alla vigilia della passione, scaturisce quel dinamismo che trasforma la realtà nelle  sue  dimensioni  cosmica,  umana  e  storica.  Tutto  procede  da  Dio,  dall’onnipotenza  del  suo Amore Uno e Trino, incarnato in Gesù. In questo Amore è immerso il cuore di Cristo; perciò Egli sa ringraziare e  lodare Dio anche di  fronte al tradimento e alla violenza,  e in  questo modo cambia le cose, le persone e il mondo.  Questa trasformazione è possibile grazie ad una comunione più forte della divisione, la comunione di Dio stesso.

La  parola  “comunione”,  che  noi  usiamo  anche  per  designare  l’Eucaristia,  riassume  in  sé  la dimensione verticale e quella orizzontale del dono di Cristo. È bella e molto eloquente l’espressione “ricevere la comunione” riferita all’atto di mangiare il Pane eucaristico. In effetti, quando compiamo questo  atto,  noi  entriamo  in  comunione  con  la  vita  stessa  di  Gesù,  nel  dinamismo  di  questa vita che si dona a noi e per noi. Da Dio, attraverso Gesù, fino a noi:  un’unica comunione si trasmette nella santa Eucaristia. Cosi san Paolo ci ricorda che “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non  è  forse  comunione  con  il  sangue  di  Cristo?  E  il  pane  che  noi  spezziamo,  non  è  forse comunione con  il  corpo  di  Cristo?  Poiché  vi  è  un  solo  pane,  noi  siamo,  benché  molti,  un  solo corpo:  tutti  infatti partecipiamo  all’unico pane” (1Cor  10,16-17).

SANT'AGOSTINO  ci  aiuta  a  comprendere  la  dinamica della comunione eucaristica quando  fa riferimento ad una sorta di visione che ebbe, nella quale Gesù gli disse: “Io sono il cibo dei forti. Cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me” (Conf.  VII,  10,  18).  Mentre  dunque  il  cibo  corporale  viene  assimilato  dal  nostro  organismo e contribuisce al suo sostentamento, nel caso dell’Eucaristia si tratta di un Pane differente: non siamo noi ad assimilarlo, ma esso ci assimila a sé, così che diventiamo conformi a Gesù Cristo, membra del suo corpo, una cosa sola con Lui. Questo passaggio è decisivo. Infatti, proprio perché è Cristo che, nella  comunione  eucaristica,  ci  trasforma  in  sé,  la  nostra  individualità,  in  questo  incontro, viene aperta,  liberata  dal  suo  egocentrismo  e  inserita  nella  Persona  di  Gesù,  che  a  sua  volta  è immersa nella comunione trinitaria.

Così  l’Eucaristia,  mentre  ci  unisce  a  Cristo,  ci  apre  anche  agli  altri,  ci  rende  membra  gli  uni degli altri: non siamo più divisi, ma una cosa sola in Lui. La comunione eucaristica mi unisce alla persona  che  ho  accanto,  e  con  la  quale  forse  non  ho  nemmeno  un  buon  rapporto,  ma  anche ai fratelli  lontani,  in  ogni  parte  del  mondo.  Da  qui,  dall’Eucaristia,  deriva  dunque  il  senso profondo della presenza sociale della Chiesa, come testimoniano i grandi Santi sociali, che sono stati sempre grandi anime eucaristiche. Chi riconosce Gesù nell’Ostia santa, lo riconosce nel fratello che soffre, che ha fame e ha sete, che è forestiero, ignudo, malato, carcerato; ed è attento ad ogni persona, si impegna, in modo concreto, per tutti coloro che sono in necessità. …

Dal  dono  di  amore  di  Cristo  proviene  pertanto  la  nostra  speciale  responsabilità di cristiani nella costruzione di una società solidale, giusta, fraterna. Specialmente nel nostro tempo, in cui la globalizzazione ci rende sempre più dipendenti gli uni dagli altri, il Cristianesimo può e deve far sì che questa unità non  si costruisca senza Dio,  cioè senza il vero Amore,  il che darebbe spazio alla confusione,  all’individualismo,  alla  sopraffazione  di  tutti  contro  tutti.  Il  Vangelo  mira  da  sempre all’unità della famiglia umana, un’unità non imposta da fuori, né da interessi ideologici o economici, bensì a partire dal senso di responsabilità gli uni verso gli altri, perché ci riconosciamo membra di uno stesso  corpo,  del  corpo  di  Cristo,  perché  abbiamo  imparato  e  impariamo  costantemente  dal Sacramento dell’Altare che la condivisione, l’amore è la via della vera giustizia.

 

  1. Per lo svolgimento dell’assemblea di Cenacolo/Delegazione o l’incontro di vita comune


Si può iniziare l’assemblea con la lettura di Mt 12,46-50, brano citato da don Barsotti.

  • Da DON DIVO BARSOTTI, Circolare del 31 dicembre 1989, Festa della Sacra Famiglia, Vol. 3°

IL MISTERO DELLA FAMIGLIA NELLA RIVELAZIONE DIVINA

L’ultima rivelazione data  da Giovanni  ha  definito  Dio come amore;  perciò gli  attributi  di  Dio sono gli  attributi  dell’amore,  che  è  costitutivo  dell’essere  divino:  egli  è,  dunque,  amore infinito, immenso, eterno. Ma Dio non sarebbe amore se non fosse comunione di sé nelle Persone divine. Infatti l’amore esige almeno la presenza di due persone, l’amante e l’amato. Dio è quindi comunione immensa, infinita ed eterna di un amore che passa da una Persona all’altra in tal modo che il Padre è soltanto  Padre,  in  un  rapporto  necessario  e  totale  di  sé  al  Figlio;  il  Figlio  è  Figlio  soltanto  in rapporto  al  Padre.  Ogni  persona  divina  richiama  necessariamente  l’altra  Persona  dalla  quale dipende ed alla quale si riferisce.

Da  ciò  si  capisce  l’importanza,  il  valore  che  ha  la  famiglia  nel  mistero  cristiano.  La  prima rivelazione del mistero trinitario è la Sacra Famiglia nella quale vediamo un padre, una madre, un  figlio.  Il  padre,  anche  se putativo,  è veramente un  padre di  fronte alla  legge.  Infatti, Gesù non sarebbe figlio di Davide se non apparisse legalmente figlio di Giuseppe che appartiene alla famiglia di Davide, mentre Maria appartiene ad una stirpe sacerdotale. Quindi la famiglia umana è come il riflesso di quella comunione di amore della famiglia di Dio, costituita dai tre: Padre, Figlio e Spirito Santo, comunione di amore che è precisamente la vita di Dio.

Prima di tutto dobbiamo tener presente l’importanza che ha avuto sul piano divino la famiglia di  Nazareth,  la  Sacra  Famiglia.  Gesù  è  vissuto  per  ben  trent'anni  come  membro  di  questa famiglia, come figlio di Giuseppe e di Maria, senza svolgere alcuna missione particolare. Basterebbe questo fatto per dimostrare l’importanza che ha sul piano divino il mistero della famiglia. Infatti, se Dio è amore, noi non possiamo essere altro che amore ed è proprio nella famiglia che normalmente l’uomo impara ad amare. Il matrimonio è una scuola che insegna a poco a poco alla sposa ed allo sposo ad accettarsi vicendevolmente, ad essere a servizio l’uno dell'altro e soprattutto dei figli. Così l’amore  da possessivo  diventa  sempre  più  oblativo,  dono  di  sé  fino  al  punto  da  non  chiedere  più nulla. E qualche volta il matrimonio esige perfino, in casi particolarissimi, un amore sacrificale, una donazione eroica!

Tu devi imparare a donarti e devi essere contento se ricevi; però l’amore vuole una risposta di amore. La vuole, ma non può esigerla perché l’amore è sempre libero in chi ama e in chi è amato e perciò  non crea  dei  doveri  e  dei  diritti  che  derivano  dalla  giustizia  e  non  dall’amore.  Il  diritto  di famiglia, nato  nello  Stato  italiano,  è  un’offesa  al  matrimonio  e  dipende  dal  riconoscimento  della legittimità  del  divorzio.  Il  matrimonio,  che  lega  gli  sposi  per  tutta  la  vita,  esclude  diritti  e doveri; soltanto l’amore ha determinato e può mantenere l’unione dei due, non la giustizia!

È  più  la  famiglia  scuola  d’amore  che  la  castità  perfetta,  la quale  suppone  un  amore  già  puro che nulla    chiede e tutto si dà. Ma senza un carisma particolare non è bene introdurre un’anima su tale via; per questo il matrimonio è divenuto sul piano divino il mezzo provvidenziale e sacro di una lenta,  quasi  necessaria,  comunque  naturale  trasformazione  dell’egoismo  naturale  in  amore vicendevole  e  poi  rivolto  a  Dio.  La  famiglia  è,  dunque,  scuola  di amore;  ecco  perché  per tanto tempo  il  Signore  ha  voluto  vivere  in  famiglia  come  se  non  avesse  altra  missione  che  quella  di santificare il suo nucleo familiare.

Questo è il mistero sconvolgente che noi celebriamo con la festa della Sacra Famiglia: di un Dio infinito,  onnipotente  che si fa uomo  per  salvare gli  uomini  e consuma la massima parte della sua vita nel nascondimento più grande, nel silenzio, vivendo nella casa di Nazareth insieme al padre putativo e  a sua  madre  Maria.  È  venuto per  salvare il  mondo e non  fa nulla:  non  predica,  non fa miracoli, sembra non interessarsi degli uomini; vive solo per i due genitori. Tutto questo vuol dire che Dio  attribuisce  alla  famiglia  un  valore  immenso  sul  piano  della  redenzione.  In  realtà, perché la Chiesa riprenda il suo cammino, è necessaria la santificazione della famiglia; occorre che l’amore umano divenga per la grazia divina il mezzo di una comunione d’amore che certamente non finisce  nei  figli  ma  che  deve  trovare  il  suo  alimento  nella  vita  familiare  per  traboccare  su tutta la comunità umana. La famiglia di Nazareth è, dunque, una naturale scuola di amore.

L’ultimo  Concilio  insegna  che  la vocazione alla santità è universale;  dunque  ad  essa  sono chiamati   tutti   gli   uomini   e   nella   maggior   parte   attraverso   la   famiglia,   che   perciò   non  deve considerarsi  un  impedimento  alla  perfezione.  Anzi,  noi  sacerdoti  dovremmo  ricordare spesso agli sposati che Dio li chiama alla santità. E la santità consiste - come dicevo - in un amore puro, vero, universale, perché c’è pericolo che dall’egoismo del singolo si passi all’egoismo della famiglia. Nella famiglia di Nazareth, la madre e il padre putativo vivono per Gesù; ma Gesù, quando giunge l’ora, lascia la madre sola e si dedica alla sua missione. Così  nella famiglia dobbiamo vivere il nostro amore  facendoci  da  parte  perché  l’altro  viva.  La  nostra  gioia  sta  proprio  nell’aiutare  i figli a realizzare pienamente se stessi senza pretendere di legarli a noi. Essi devono vivere una loro vita, intraprendere  un  cammino  indipendentemente  da  noi  e  compiere  una  loro  missione.  È  una  cosa bellissima vedere l’amore divenire grande e perfetto, quando tu hai donato tutto e gli altri vivono del tuo sacrificio e vanno avanti!

Così  Gesù  ha  vissuto  nella  sua  famiglia  fintanto  che  non  è  giunto  all’età  in  cui  egli  poteva iniziare la sua missione: verso i trent’anni si fa battezzare sulle rive del Giordano e non torna più a Nazareth. Maria Santissima rimane sola e pare dimenticata. Certo, Gesù l’amava lo stesso e Maria Santissima amava Gesù; però che amore sacrificale! Ma se ella non fosse rimasta nell’ombra avrebbe potuto essere un impedimento alla missione del Cristo.

Morto Giuseppe,  rimasta  sola,  ella doveva obbedire a colui  che era divenuto il  capo della sua famiglia,  il  quale  non  credeva  alla  missione  del  Cristo.  Maria  però  non  dice  una  parola  neppure quando è costretta a cercar di richiamare Gesù con la sua presenza: «Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli  che  vogliono  parlarti»  (Mt  12,47)  e  con  il  suo  silenzio  si  associa  alla  missione  del  figlio.  Il silenzio della Vergine, il suo pudore, il suo rispetto per lui sono un insegnamento grandissimo.

Ma  la  famiglia  di  Nazareth  c’insegna  anche  un’altra  cosa:  non  solo  la  famiglia  non  è  un ostacolo  alla  santità,  ma  in  essa,  anzi,  normalmente  gli  uomini  debbono  tendere  alla perfezione cristiana. Dio non fa discriminazioni: la più grande mistica della Chiesa italiana è santa Caterina da Genova, che si è santificata nel matrimonio con un marito che aveva dei figli naturali che  ella  ha  accettato  e  con  i  quali  è  vissuta.  Invece  la  beata  Angela  da  Foligno  è  diventata  una grande mistica dopo la morte del marito e dei figli; la beata Anna Maria Taigi, una delle più grandi mistiche del secolo passato, che aveva otto figli, è morta prima del marito.

Perciò, uno degli aspetti più importanti della Comunità è proprio il suo rivolgersi a tutti, sposati o  no,  purché  tutti  abbiano  la  volontà,  il  desiderio  almeno  di  tendere  alla  perfezione  evangelica, perché  il  Signore  chiama  tutti  alla  santità,  come  ha  dichiarato  appunto  l’ultimo  Concilio.  Però questa sarebbe soltanto  una  dottrina priva di  efficacia se  di  fatto non  si realizzasse nella famiglia cristiana un cammino verso la santità.

A chi viene nella Comunità non chiediamo qualche opera, ma di intraprendere un cammino verso la santità cristiana,  verso  la  perfezione  evangelica.  Chiunque  deve  tendere  alla  perfezione nel rispetto fondamentale delle esigenze dello stato nel quale il Signore l’ha posto. Uno sposo non può vivere come un certosino; tuttavia non deve pensare che la santità che può raggiungere debba essere  minore  di  quella  di  chi  vive  in  un  convento.  Infatti,  la  santità  non  consiste  nella  molti- plicazione delle opere o delle preghiere, ma nella perfezione dell’amore, una meta che tutti possono raggiungere. La santità della sposa non deve pesare, ma al contrario deve essere un aiuto, un riposo per lo sposo: sarà un’ala che solleva non solo lei, ma anche le anime e le persone che le sono vicine e che ella deve sollevare in  alto.  I  mezzi  che  Dio  dona a chi  vive nel  matrimonio per  giungere  alla santità sono la pazienza, la donazione di sé, l’umiltà, il sacrificio quotidiano per gli altri. Lamore è possibile in qualsiasi stato, per qualsiasi persona, in qualsiasi professione, in qualsiasi età.

Il terzo insegnamento che ci viene dalla Sacra Famiglia di Nazareth è anch’esso confermato da quanto  afferma  il  Concilio:  la  famiglia  è  la  piccola  chiesa.  Nella  parrocchia  il  sacerdote  può stabilire, sì, un certo rapporto con i parrocchiani, ma si tratta sempre di un rapporto vago, relativo, occasionale che non ti prende totalmente. Solo la famiglia naturale prende totalmente ciascuno di noi così da divenire la piccola Chiesa nella quale realizziamo appunto il mistero della Chiesa.

La famiglia è il sacramento vero della Chiesa che è l’alleanza di Dio con l’uomo e dell’uomo con  Dio  che  dona  poi  anche  la  fecondità.  La  Chiesa  è  feconda,  è  Vergine  e  Madre  come  Maria Santissima.  La  famiglia  è  precisamente  questo.  Tu  sei  preso  talmente  dalla  famiglia  che  ogni  tuo vivere  fuori  di  essa  è  un’evasione.  Però  non  si  tratta  di  una  famiglia  chiusa,  perché  l’amore  nel cristianesimo è sempre aperto e crescendo e dilatandosi ti porta ad una donazione di te stesso fino a divenire l’espressione stessa dell’amore di Dio nella comunione immensa d’amore dei tre: Padre, Figlio, Spirito Santo, amore che poi si concretizza, s’incarna nella famiglia umana, nella famiglia di Nazareth  nella quale Giuseppe vive unicamente per  la sposa e per  il  figlio;  il  figlio vive soltanto la sua obbedienza e dipendenza dai genitori; Maria  vive per l’uno e per l’altro in una dedizione di  sé totale.

Per noi la Comunità è la Chiesa, ma non la sostituisce: quella parrocchiale è una comunità “sui  generis”,  importantissima  oltre  che  necessaria,  perché  è  la  comunità  di  un  amore  divino  che abbraccia tutti  e che si rivolge a tutti,  anche a coloro che ne sono lontani. Invece nella Comunità

 

religiosa,  dove  ci  si  conosce  e  ci  si  ama,  il  legame  è  più  stretto,  l’impegno  è  più  vero  ed  è  libero. L’appartenenza alla parrocchia è di carattere giuridico: appartieni a quella parrocchia perché vi sei nato  e  vi  abiti;  invece  sei  nella  Comunità  per  una  tua  libera  adesione  che  t’impegna  verso  la Comunità, ma soprattutto verso Dio in un cammino di perfezione.

Perciò, per noi la Comunità è la Chiesa nel senso che è  una comunità di credenti,  di coloro cioè che cercano Dio e che debbono divenire sempre più in Cristo  “unanima  sola  e  un  cuore  solo”, come si legge negli Atti a proposito della comunità di Gerusalemme.

L’insegnamento della festa della Sacra Famiglia mi sembra molto importante specialmente per noi  della  Comunità  che  rivolgiamo  l’invito  a  vivere  la  vita  cristiana  in  un  cammino  di  perfezione anche agli sposati. Tutti dobbiamo tendere alla perfezione evangelica perché Dio chiama tutti e ciascuno nella fedeltà alla propria vocazione specifica: io, come sacerdote nella castità perfetta, tu, sposa e madre nel matrimonio, un altro là dove il Signore lo ha posto; sulla via che Dio ha tracciato a ciascuno, tutti dobbiamo tendere verso la meta ultima che è la santità stessa di Dio.

 

  • Discorso del ca Arcivescovo GIACOMO BIFFI, il 15 ottobre 1988 alla chiesa di San Giovanni

Allora credo che sia proprio il momento che parli io, e sono molto lieto di poterlo fare. Intanto esprimendo prima di tutto la mia gioia per questa real con cui io questa sera sono messo a contatto.

Credo che per chi proviene da lontano, dalla via Emilia, e arriva qui ... è un po’ una sorpresa trovare in mezzo a questa campagna un centro vivo di preghiera, di attenzione al Signore, è una sorpresa gioiosa, una sorpresa felice.

Don  Giampaolo  si  rifaceva  un  po’  alla  storia,  e  credo  che  sia  una  lezione  utile  quella  di considerare che cosa è passato da queste terre. Proprio l’altro giorno io leggevo ... Mi è arrivato il secondo volume delle Lettere di Sant’Ambrogio, appena uscito, e così ogni giorno ne leggo una o  due,  secondo  della  lunghezza,  perché  alcune  sono  molto  lunghe.  Siccome  dovevano  mandare apposta  un  cavallo  e  un  cavaliere  a  portarle,  scrivevano  un  libro,  qualche  volta  invece  sono  dei biglietti.  Bene,  ce  n’è  una  che  è  indirizzata  al  Vescovo di Claterna,  Quaderna  -  questo  centro, questa  diocesi  che  vedo  che  è  un  po'  difficile  da  individuare  esattamente,  ma  certamente  è  di queste parti -, in cui Sant’Ambrogio fa questo ragionamento. Dice: “Senti un po’, adesso arriva la Quaresima e la Pasqua e io non posso muovermi da Milano per arrivare fin lì. Allora ti prego, dai tu  un’occhiata  alla  Chiesa  di  Imola  che  è  da  un  po’  di  tempo  senza  vescovo  e  non  so  come  va, quindi cerca di andare un po’ spesso lì a vedere come vanno le cose, tienila d’occhio, tienila viva fino a che un certo momento si potrà avere un vescovo anche per la Chiesa di Imola”.

Allora facevo questo ragionamento dentro di me: evidentemente allora Claterna era una Diocesi così forte che era capace di venire incontro a una Chiesa sorella, che era quella di Imola, quindi doveva  essere  una  chiesa  viva.  Adesso di  questa Chiesa non resta più  niente,  tanto  che  non sappiamo  più  dove  era  la  sede  episcopale,  perché  tutte  le  volte  che  vado  in  giro  sento  dire  che  è dalle loro parti: a Ozzano, a Osteria Grande …, e credo che, sì certamente, dove passa il torrente Quaderna lì ci sia stata anche la località di Quaderna, Claterna, mentre Imola è una Chiesa viva. Allora,  questo  ci  insegna  che,  sono  alterne le  vicende della storia e  non  bisogna  né  esaltarci troppo  quando  le  cose  sembrano  andare  a  gonfie  vele,  né  abbatterci  troppo  quando  sembra  che tutto sia perduto, perché i ritmi di Dio e i tempi suoi e i suoi progetti sono suoi, e noi possiamo soltanto  cercare  di  capirli  dopo  che  li  abbiamo  visti  realizzati.  Questo  ci  dà  un  senso di grande pace,  perché  davvero  ci  fa  consapevoli  che  dietro  di  noi,  e  quindi  al  di  là  dei  nostri  sforzi,  delle nostre  agitazioni,  delle  nostre  preoccupazioni,  cè  Uno  che  conduce  il  gioco,  e  lo  conduce certamente bene, anche se noi non sempre arriviamo a capire tutte le giravolte della sua strada.

E poi ascoltando don Giampaolo ho fatto un altro ragionamento, che è esattamente simmetrico e contrario a questo: che durante la guerra qui c’erano i carri armati e i cannoni, qui c’era puntato un  cannone  che  sparava,  non  un  cannone  di  bellezza,  un  cannone  che  sparava  sul  serio,  che faceva dei bei disastri. Allora se uno avesse detto in quel momento: “Ma dov’è la forza? Sta in san Giovanni  Battista  la  forza,  che  non  è  neanche  capace  di  difendere  la  sua  casa,  che  l’ha  lasciata prendere  da  questi  militari  stranieri,  o  sta  invece  in  questa  potenza  guerriera,  che  aveva  i  carri armati, i cannoni, che sapeva prendere le popolazioni?”. Noi avremmo detto: “Eh no, qui è proprio la sconfitta di Dio, la sconfitta, se non di Dio, almeno di san Giovanni Battista, visto che non riusciva neanche a difendere la sua chiesa”. Non sono passati molti anni e noi vediamo che, ringraziando il Cielo, qui di carri armati non c’è più neanche la traccia, di cannoni non se ne trovano più, la casa di San Giovanni Battista è tornata ad essere una casa di preghiera, una casa di riflessione, una casa dei figli di Dio e dei figli di Maria di Nazareth, come siamo tutti, che cercano qui il luogo dove crescere nella loro vita religiosa.

Allora vedete che né poteva esaltarsi troppo Claterna rispetto a  Imola della sua forza di allora né dovevamo deprimerci noi per quell’eclissi che c’è stato di questa realtà religiosa.

E ancora una volta noi qui dobbiamo dire come la forza dello Spirito alla fine sia più grande, solo che ha i tempi lunghi, i tempi un po’ diversi e questo ci dà davvero molta serenità e molta pace.

Voi mi chiedete che vi dica qualche parola che possa essere custodita nel cuore e un po’ servire di  luce.  Ma  io  sono  sempre  molto  esitante  quando  devo  dire  parole  mie,  perché  mi  sento  molto impari a questo compito; però credo che posso con molta tranquillità dire a voi quelle  parole che ho ascoltato nella Messa di oggi, la prima lettura della Messa di  oggi. San Paolo scrivendo agli Efesini  (1,1-23)  dice:  “Avendo  avuto  notizia  della  vostra  fede  nel  Signore  nostro  Gesù  Cristo  e  della vostra  carità  verso  tutti  i  santi,  rendo  grazie  a  Dio,  Padre  del  Signore  nostro  Gesù  Cristo,  pregando per  voi  perché  abbiate  lo  spirito  di  sapienza  e  di  rivelazione  e  possiate  crescere  nella  conoscenza  di Lui”, cioè nella conoscenza di Cristo.

Credo  che  posso  ripetere  queste  parole:  io  ho  avuto  notizia  -  l’ho  avuta  da  una  parte  un  po' interessata, perché era don Giampaolo che me lo diceva, quindi è salvo controprova, ma qui una certa  controprova  la  vedo  -  ho  avuto  notizia  della  vostra  fede  nel  Signore  nostro  Gesù  Cristo.  E allora questa è la prima cosa che credo di poter dire, ed è proprio che abbiate a tener sempre viva la fede. Io ho visto che avete colto l’essenziale del cristianesimo e della vita cristiana, mettendo le virtù teologali come ciò che deve scandire il ritmo della vita cristiana, e questo è verissimo: il Signore non ci chiede nient’altro se non di essere credenti, cioè di vedere le cose con gli occhi di Cristo; di sperare,  cioè  di  avere  i  desideri  di  Cristo  e  la  sua  tensione  verso  il  Regno  e  verso  il  Padre,  che trasluce da tutte le pagine del Vangelo, e di riprodurre in noi la carità di Cristo, cioè l'amore con cui egli sapeva amare il Padre e sapeva amare i fratelli. Questo è vero: tutta la vita cristiana è così.

Mi  ricordo  che  una  volta  sono andato a fare gli  esercizi  spirituali in  una  Certosa,  e il  Priore, gentilissimo, mi ha dato una cella e mi ha assegnato anche un monaco certosino che tentasse di convertirmi,  che ce la mettesse tutta per  riuscirci.  E lui  infatti vedevo che non  mi  lasciava stare, ogni tanto veniva. È un orario un po' strano quello dei Certosini, perché loro mangiano una volta sola  al  giorno.  Il  Priore  mi  ha  detto  che  io  potevo  mangiare  anche  due  volte,  quindi  alla  sera  mi portavano  un  po’  di  cena,  ma  insomma,  non  avendo  neanche  la  cena  loro  alle  sette  e  mezza andavano  a  letto,  e  andare  a  letto  vuol  dire  che  tutta  la  Certosa  si  paralizzava  perché  i  fratelli certosini finivano il lavoro e andavano a letto; perfino il cane, che era un  cane certosino, figlio di cani  certosini,  alle  sette  e  mezza  anche  lui  si  ritirava  e  non  se  ne  parlava  più.  È  vero  che  poi  si alzavano alle undici e mezza e cantavano le lodi di Dio fino all’una, l’una e mezza, e poi si alzavano ancora verso le cinque e mezza, le sei e io con molta buona volontà cercavo di seguire questo ritmo e  lo  seguivo,  tranne  che il  più  delle  volte  mi  addormentavo  e  così  finivo per  dormire  dalle  sette  e mezza di sera fino alle sei e mezza del mattino: credo che non ho mai dormito così tanto! Qualche volta  mi  è  successo  di  riuscire  ad  andare  all’ufficiatura  notturna.  Ma  comunque,  ad  un  certo momento io ho chiesto, tanto per tenerlo un po’ a bada questo certosino che mi incalzava: “Ma, mi spieghi  un  po’  un  modo  semplice  di  fare la meditazione”.  “Ah  –  dice  -  è  molto  semplice:  si  può prendere qualunque cosa, la Sacra Scrittura, un libro, si può prendere un fatto…; se è un libro si prende una frase e la si traduce in un atto di fede, di speranza e di carità,  e  fin  quando  c’è materia va bene,  poi  quando non  c’è materia si legge la frase che vien  dopo e la si traduce in  un atto di fede, di speranza e di carità. Per la verità prima aveva anticipato che prima di tutto bisogna mettersi in atteggiamento di purificazione del cuore, di distacco da tutti gli attaccamenti, i gusti ecc. Io non ho tenuto mica a mente molto di quel che mi ha detto in quella settimana, ma questa cosa  me  la  ricordavo  perché  è  essenziale  e  l’ho  un  po'  ritrovata  qui.  Questa  mi  sembra  molto essenziale.

Poi “ho avuto notizia della vostra cari verso tutti i santi”. La carità verso tutti i santi significa verso tutti i battezzati,  e  questo  significa  una  grande  apertura  di  cuore,  uno  stile  aperto.  Io credo  che  se  c’è  una  cosa  che  deve  caratterizzare  la  vita  delle  Sorelle,  qui,  e  delle  famiglie  che girano  attorno  a  questa  realtà  religiosa  che  insegue  l’ideale  monastico,  è  quella  di  essere  molto aperti sulla grande famiglia del popolo di Dio, come mi pare anche di vedere. Quindi, che non abbia la scelta monastica ad essere una barriera che lascia dall’altra parte i cristiani. Sarebbe poi atroce se a un certo punto si pensasse di dire: quelli sono i semplici cristiani e noi siamo cristiani sul serio; questo sarebbe un atteggiamento di tipo gnostico ed è la cosa più lontana dallo spirito di Gesù.

Direi  che  una  delle  cose  che  è  originale  qui,  ma  che  deve  essere  salvata  e  sottolineata,  è questo innervamento della Comuni nella più ampia comunità parrocchiale, e questo vale, fatte tutte le proporzioni e gli adattamenti, per quelle famiglie che fanno capo a questo centro di spiritualità, che però vivono anche nella loro parrocchia.

Allora  io  credo  che  la  domanda  di  don  Burnelli,  che  è  una  domanda  retorica,  perché  lui  la risposta la sapeva già, è questa: non c’è nessuna incompatibilità se questa iniziativa spirituale non arriva a derubare le famiglie delle loro forze migliori, quasi insomma a scremare il latte e poi lasciare il latte scremato agli altri, ma arrivi ad arricchire le comunità di tutti quei fermenti e quegli impulsi e  quelle  cariche  spirituali  che  si  apprendono  e  si  potenziano  proprio  nella  vita  religiosa,  condotta con slancio e insieme anche con metodo, cioè obbedendo a una certa regola e a un certo schema di vita.

Allora  io  di  questo  ringrazio  il  Signore,  se  le  cose  sono  così  ringrazio  il  Signore  e  direi ringraziamo  il  Signore,  per  cui  la  Messa  che  celebriamo  adesso  sarà  veramente  una  Eucaristia, cioè un ringraziamento, un ringraziamento di tutto, perché la Messa non si imprigiona mai in una  piccola  realtà,  la  Messa  spazia  sempre  sull’universo,  ha  sempre  una  dimensione  cosmica:  si ringrazia il Signore di tutto, del fatto che ha avuto quella stranissima fantasia di creare il mondo, che  è  la  cosa  più  strana,  più  difficile  da  capire,  come  mai  gli  è  venuto  in  testa  di  crearlo;  e  poi  il regalo  del  suo  Figlio  che  ha  rappresentato,  per  così  dire,  lo  straripamento  della  divinità  nella creazione,  questa famiglia di  Dio  che  si  apre in  modo  che  possa  coinvolgere in  se stessa  anche le creature;  questa  Redenzione  operata  attraverso  il  sacrificio  di  Cristo...  Di  tutte  queste  cose  si ringrazia il  Signore.  Ma il  bello  del cristianesimo è che non  è così impigliato nella piccola vicenda nostra  da  non  spaziare  sempre  nell’universo,  e  non  è  così  alto  da  non  arrivare  alle  piccole  cose  e alla  nostra  vita  quotidiana.  Quindi  l’Eucaristia,  partendo  da  questi  temi,  deve  arrivare  fino  a ringraziare  per  la  nostra  vita,  fino  a ringraziare per questa realtà che  c'è  qui  in  San  Giovanni  e che c’è, insomma, nel vostro trovarvi insieme, con questo ideale da raggiungere, con questo scopo, con questo desiderio di crescita spirituale che avete nel cuore.

E  allora  io  prego,  questo  significa  che  prego  perché  presiederò  l’Eucaristia,  e  anche  se  sarò distratto pregherò per voi per forza, perché, essendo il presidente della assemblea la mia preghiera è  oggettiva,  e  questo  ci  dà  una  grande  pace.  Noi  sappiamo  sempre  che  quando  partecipiamo all’Eucaristia, come  alle altre azioni sacramentali, il valore della nostra preghiera non  è un valore che dipende unicamente dall’attenzione o dall’impegno che ci mettiamo noi, perché c’è dietro di noi sempre il grande Sacerdote che prega in noi.

Quindi io pregherò per voi nella Eucaristia, ma pregherò per voi anche da questo momento in avanti un po’ di più di quello che ho fatto fino adesso, e direi un po’ più motivato, perché adesso vi ho    visti    in    faccia;    era    diverso    sapere    che    c’eravate    -    intanto    in    media    due    volte all’anno don Giampaolo viene a raccontarmi la vicenda, io l’ho saputo per forza, anche a non volere dovevo sapere per forza che c’eravate  - ma adesso avendovi visti in faccia,  la mia preghiera sapiù  motivata  e  spero anche  che sarà  più  motivata  la vostra,  perché  anche  voi  avete  sempre sentito citare nella Messa,  assieme al nostro Papa Giovanni  Paolo,  il  nostro vescovo Giacomo,  ma adesso il vostro vescovo Giacomo lo vedete perché sono io, quindi avete in mente la mia faccia vista un  po’  più  da  vicino,  e  spero  che  anche  la  vostra  preghiera  sarà  un  po’  più  motivata,  un  po’  più mirata.

E prego “il Padre del Signore nostro Gesù Cristo”, ed è bellissimo questo modo con cui san Paolo chiama  Dio,  perché  di  colpo  questo  Dio  inaccessibile,  questo  Dio  trascendente  del  quale  neppure possiamo pensare qualcosa, del quale conosciamo piuttosto come non è, che come è, come dice san Tommaso  d’Aquino  che  pure  era  uno  che  se  ne  intendeva  dello  studio  della  “scienzia  Dei”,  della teologia, ma ecco che quando Paolo lo chiama il “Padre del Signore nostro Gesù Cristo”, cioè il Padre di uno che ha in comune con noi la nostra natura, che è uomo con noi, che ha condiviso con noi la strada,  la  vicenda  umana,  già  dall’inizio,  avendo  avuto  una  madre,  per  esempio,  come  l’abbiamo noi, soffrendo, come tocca a tutti di soffrire, incontrando difficoltà, patendo insuccesso, come tocca a  tutti  …  Ecco  questo  Dio  che  è  il  Padre  del  Signore  nostro  Gesù  Cristo,  di  colpo  questo  Dio  è diventato  di  casa.  Noi  ancora  conserviamo  questo  senso  della  misteriosità,  della  trascendenza  di Dio, della grandezza di Dio, ma di colpo ci sentiamo imparentati, e questa è una cosa grandissima, non c’è al mondo nessuna religione che ha mai pensato a cose simili.

Il  Padre  del  Signore  nostro  Gesù  Cristo  vi  doni  lo  spirito  di  sapienza”,  che  significa  non  solo

conoscere il fine ma anche i mezzi per raggiungere il fine e significa non solo conoscere i mezzi, ma significa  anche  conoscere  il fine,  perché  qualche  volta  capita  agli  uomini  di  dimenticare  l’una  o l’altra di queste due parti. La maggior parte degli uomini d’oggi vive preoccupata dei mezzi, ma non si  ricorda  più  per  che  cosa  sono  i  mezzi,  sono  così  impegnati  a  vivere  che  si  dimenticano  di domandarsi a che cosa serve la vita. Se voi incontraste un uomo per la strada che porta un grande macigno sulle spalle e suda e fa fatica, e uno dice: “Che strano, come è possibile che al giorno d’oggi ci sia uno che abbia un grande macigno sulle spalle?”. E andando là gli dice: “Scusi, ma lei perché porta questo macigno?”.  Si  sente  dire:  “Ma io non  ho mica tempo di  perdermi  in  queste domande sciocche; non vede che sono impegnato a portare il macigno?”. “Eh bravo – dici - ma se non sai il perché?” … Allora gli uomini sono un po’ così, sopportano questo grande macigno dell’esistenza, di fare una grande fatica, e non si domandano mai perché. Per noi esiste un fine!

D’altra parte non sarebbe una sapienza prudente, cioè la sapienza non arriverebbe alla virtù della prudenza, se si continuasse soltanto a pensare al fine, ma non si sapesse quali sono i mezzi concreti per arrivare al fine. Tutto quel programma di vita che io qui ho sentito, che avevo anche letto, in fin dei conti è la scelta della strada per arrivare al fine, cioè è il senso dei mezzi per arrivare al fine.

E  mi  auguro  che  il  Signore  vi  conceda  lo  spirito di  sapienza e di  rivelazione,  cioè  questo stupore  perché  il  velo  è  caduto  davanti  ai  nostri  occhi.  La  nostra  vita  è  sempre  annebbiata:  qui credo che voi di nebbia ve ne intendete, anche dalle mie parti, quindi siamo abbastanza  fratelli in questo. Ecco, sapete, è come quando capitano di quei bei nebbioni che non si vede proprio niente, se di colpo la nebbia si alza e voi potete vedere tutta la campagna, anche il cuore si allarga: questa è  la  rivelazione.  …  La  rivelazione  vuol  dire  quest’uomo  che  cammina  nella  nebbia  dell’esistenza, perché sono strade nebbiose quelle dell’esistenza, a un certo punto il velo si alza e lui sa il perché: sa perché è venuto al mondo, sa che cos’è qui a fare, sa la meta verso cui è indirizzato, sa che  c'è un Dio che gli vuol bene, sa che c'è una Chiesa che lo avvolge con la sua maternità, per cui anche se si sbanda, anche se lui non è proprio uno stinco di santo, però cè la grande fede della Chiesa, come diciamo nella Messa: “Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa”. Guai se non ci fosse la fede della Chiesa che ci avvolge, noi avremmo soltanto i nostri peccati. Qualcuno in questi anni sembra che avesse scambiato le parole, diceva: “O Signore, non guardare i peccati della Chiesa, ma la mia fede”. Eh no, questo non è da cristiani, questa non è la prospettiva cristiana.

Allora  prego davvero che  abbiate questo  spirito di rivelazione:  la mente  che si squarcia e  si vede il paesaggio; per arrivare a che cosa? Che cosa riassume tutto? Che cosa è la sintesi di tutto, nel quale tutto è compreso? La conoscenza di Cristo! Perché chi conosce Cristo conosce Dio - “Chi vede me  vede  il Padre” -, conosce il disegno che Dio ha pensato dall’eternità per la nostra salvezza, perché è Lui,  reso  Persona,  il  progetto di  Dio,  e conosce anche la verità di  tutte le cose,  perché le cose in  tanto sono vere in  quanto sono riverberi  della  bellezza,  della grandezza,  della realtà che è tutta racchiusa in Cristo, immagini qualche volta un po’ deteriorate, ma sempre immagini, immagini che qualche volta assomigliano poco, ma che chiedono di essere fatte sempre un po’ più somiglianti. Anche gli altri sono immagini di Cristo e questa è la verità più difficile del cristianesimo, almeno per me: è quella di credere che gli uomini sono fatti a immagine o somiglianza di Dio, e di Cristo, perché qualche volta, quando si vedono certe cose ...: ma è mai possibile che questa è un’immagine di  Cristo?  Quando  c’è  tanta  cattiveria,  come  è  possibile?  Sì,  è  possibile,  solo  che  è  un’immagine screpolata. Allora capite perché si devono amare gli uomini, anche quelli che non sono buoni. Tutti i  movimenti  sociali che  predicano la filantropia,  l’amore per  gli  uomini,  ma si dimenticano di  dire che  l’uomo  è  immagine  di  Cristo  non  hanno  fondamento.  Perché  devo  amare  gli  uomini?  Perché sono amabili!  Mica vero che sono amabili,  qualche volta non  sono affatto amabili!  …  Perché sono immagine di Cristo, e sono sì magari deteriorate, screpolate. Capita come per una icona, che quando è  un  po’  screpolata  non  è  che  l’amiamo  di  meno,  non  è  che  un  antico  quadro  della  Madonna  ... anche la Madonna di San Luca non è proprio così brillante come se fosse fatta adesso, ma l’amiamo moltissimo, anche se ha qualche ingiuria del tempo su di lei l’amiamo di più.

Così bisogna amare l'immagine di Cristo, che sono tutti gli uomini: questa è la conoscenza del Signore Gesù Cristo nella quale voi imparate tutto, e noi sappiamo che è possibile crescere in questa  conoscenza,  perché  c’è  già  una  creatura  che  l’ha  avuta  in  pienezza,  la Vergine Maria;  la Vergine Maria ha già la conoscenza completa di Lui, perché nessuno ha mai potuto conoscere Gesù come  Lei,  che  l’ha  conosciuto  anche  con  gli  occhi materni,  oltre  che  con  gli  occhi  di  colei  che  è stata   completamente arresa alla  proposta di  Dio, e quindi con  occhi verginali, colei che non era impigliata  in  niente  della  realtà  terrena.  Lì  già  c’è  tutta  la  conoscenza  di  Cristo,  conoscenza  viva, quindi anche l’amore di Cristo, perché la Vergine Maria è la Chiesa, non solo nella sua immagine, ma anche nella sua primizia e in qualche modo anche nella sua sintesi.

Perciò ecco che questo aspetto che ho colto nella vostra presentazione non è qualche cosa di marginale, ma è qualche cosa di centrale nel cristianesimo.

Allora  credo  che  io,  sì,  posso  davvero  aspettarmi  molto  da  questa  famiglia  così  un  po’ variegata, se ho capito bene, come, è la vita in sostanza, ci sono tante situazioni, tante cose ..., che non  deve  preoccuparsi  di  stabilire  forti  confini  tra  se  stessa  e  la  comunità  cristiana  ma  deve piuttosto preoccuparsi di sapersi inserire, che gli altri non vi vedano mai come personaggi troppo lontani, diversi, no, che vi vedano sempre come una fortuna: ci sono tante fortune a questo mondo, come ci sono anche tanti guai, in genere ogni fortuna comporta anche qualche guaio. Spero che il guaio che voi  date sia piccolo,  ma che sia una fortuna  per  la comunità cristiana nella quale siete inseriti.

Ecco, sono tutte le cose che non vi ho detto io, ma che mi è sembrato che vi abbia detto san Paolo con quel brano che la Chiesa ci ha offerto nella Messa di oggi, e che provvidenzialmente mi pareva che fosse attualizzato per voi, e rivolto particolarmente a voi.

Perbacco, sono le cinque, ma qui ... non mi capita mai di parlare così a lungo, si vede che sono stato affascinato da questa assemblea, vuol dire che farò riparazione e farò una predica ancora più lunga ...

 

-  Preghiera  di  SAN  FRANCESCO  DASSISI  (Lettera  a  tutto  l’Ordine  II,  26-29),  inserita  da  Papa Francesco al termine della sua Lettera Apostolica Desiderio desideravi, sulla formazione liturgica del popolo di Dio (29 giugno 2022)

Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti,
quando sull’altare, nella mano del sacerdote,
è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo.
O ammirabile altezza e stupenda degnazione!
O umiltà sublime! O sublimità umile,
che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio,
si umili a tal punto da nascondersi, per la nostra salvezza,
sotto poca apparenza di pane!
Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio,
e aprite davanti a Lui i vostri cuori;
umiliatevi anche voi, perché siate da Lui esaltati.
Nulla, dunque, di voi trattenete per voi,
affinché tutti e per intero vi accolga Colui che tutto a voi si offre.

 

C. Per il dialogo o la verifica personale

  • Al continuo invito all’ascolto della Parola di Dio, al suo annuncio e alla preghiera, cerco di rispondere incrementandoli, a riguardo sia del tempo che vi dedico sia della qualità con la quale mi impegno?
  • Ne sono anche un fedele interprete e testimone, ho una vita conforme alla volontà di Dio, che è la santità della vita abitata da Cristo, che diviene Luce attraente nelle tenebre del mondo?
  • Sono una fortuna per la comunità cristiana nella quale sono inserito/a o porto guai? (card. Biffi).
  • Eucaristia …, ringraziamento per tutto … Io ringrazio?
  • “Io, qui  dove  vivo,  io,  in  famiglia,  io,  al  lavoro,  nella  mia  comunità,  promuovo  la comunione, sono tessitore di riconciliazione, di pace?” (papa Francesco).