- Da STATUTO o DIRETTORIO
Dir. 1.1 § 5) Tutti i membri della Comunità, anche se lontani fra loro, vivono la stessa vocazione e attingono la forza spirituale per la loro perseveranza dalla Parola di Dio, dalla preghiera e dalla vita fraterna.
Dir. 1.3 § 1) Glorificano Dio nel perseguire la santità, cioè la volontà di Dio, non solo personalmente ma insieme, con chi il Signore ha posto vicino, come membri di una stessa famiglia, aiutandosi.
St. 2.5.3 § 1) I consacrati tengano il cuore aperto alla missione. Portare Cristo in noi e tra noi per renderlo presente e offrirlo agli altri come il Bene più grande è l'opera di evangelizzazione possibile a tutti. A tal fine ogni consacrato dia una testimonianza umile e autentica di preghiera e di vita cristiana, con capacità di amore e di servizio ovunque, a partire dai più vicini, in casa, nel lavoro. Si sia operatori di pace, generosi e pazienti nella propria realtà concreta.
- Da LA VITA FRATERNA nella nostra Comunità di figli di Maria di Nazareth, relazione del 29 gennaio 2022 di Michele e Michela, II parte
La direzione spirituale, un cammino personale aiutato e guidato sulla Parola di Dio è un percorso prezioso e indispensabile nella vita di fede. La vita comunitaria, che per noi è anche la vita fraterna, richiede la scelta di prendersi carico del proprio cammino ma anche di sostenere il cammino degli altri con la preghiera e la presenza.
Non può esserci la comunità senza la presenza reale di tutti.
Anche oggi è un momento di vita fraterna, partecipato e di questo ringraziamo, pur con i limiti della distanza e della video-conferenza.
È molto importante, fondamentale che ognuno di noi oggi sia presente a questo momento di vita fraterna. Ovviamente la presenza, la vicinanza, l’esserci a tu per tu è un’altra cosa ed è un valore nella crescita e nella condivisione.
Non a caso oggi si evidenziano tutta una serie di problemi di socialità, a tutti i livelli, dai giovani agli anziani, a tutti gli stati di vita, per effetto delle mutazioni degli stili di vita causati dalla pandemia …
L’invito che faccio ad ognuno di noi è valorizzare sempre di più i due polmoni della nostra comunità: personale e fraterno.
Agli impegni e al cammino individuale/personale che ognuno di noi fa, inserito e a fianco degli altri nella propria giornata, diventa fondamentale coltivare, apprezzare e cercare di tenere come momento essenziale anche le convocazioni e i momenti insieme che permettono la crescita della vita fraterna nel confronto e nella condivisione.
Un professore universitario ad ognuno dei suoi studenti spiegava: se tu hai un euro e me lo dai e nel contempo io ho un euro e te lo do ognuno di noi torna a casa sempre con un euro. Se invece io ho un’idea e te la riporto e tu hai un’idea e me la condividi ognuno di noi torna a casa con due idee. Questo a livello della conoscenza.
Pensate nel nostro cammino a livello di esperienza, di testimonianza di fede, di esempio… Ogni sorella/fratello diventa uno strumento di crescita ed arricchimento per gli altri e la Comunità con tutti i suoi membri si edifica e cresce.
L’AMORE VERSO IL PROSSIMO
“Maria invita alla condivisione dei doni della Parola della Preghiera con i fratelli, a partire da quelli della Comunità; pertanto i consacrati sono chiamati a vivere la vita fraterna e a muoversi nel servizio e nella testimonianza della carità di Cristo” (St. 2.5).
“Come Maria che porta con Gesù ogni dono di Dio, in fretta e nella lontana casa di Zaccaria ed Elisabetta, anche noi desideriamo portare Cristo e la sua Parola nelle nostre case, di famiglia in famiglia, e negli ambienti in cui viviamo” (Dir. 2.5).
“Dio non solo ci ama, ma assume la nostra vita per non distinguersi da noi. I santi in qualche modo si distinguono, ma Gesù no: è «il figlio del falegname». È l’amore che l’ha reso in tal modo simile a tutti. Così anche noi dobbiamo assimilarci ai nostri fratelli nell’amore” (Dal “Vademecum”, DON DIVO BARSOTTI – vedi Notiziario 166 pag.16).
Possiamo partire da questa piccola riflessione per uno scambio:
- Ho sentito parlare e ho mai riflettuto sulla vita fraterna in Comunità?
- Come si può contribuire alla crescita della vita fraterna in Comunità?
- Da SR. AGNESE della Piccola Famiglia dell’Annunziata, Lezioni sulla Piccola Regola
LO SPIRITO E LA FEDE
1Cor 12,9, nell’elencare i carismi dice: “… a un altro la fede nel medesimo Spirito”. Nel battesimo tutti abbiamo ricevuto la fede, ma qui Paolo sta parlando della fede in quanto carisma, perché sta facendo l’elenco dei carismi. Fede come carisma vuol dire la fede operante, cioè quella fede che è messa in opera per ottenere l’intervento del Signore, forza di fede più viva e operante, che è un carisma. Bisogna chiederlo il carisma della fede, perché abbiamo molto bisogno di essere gente di fede, cioè gente che fa leva sulla fede in tutte le sue scelte, nei suoi giudizi, nelle sue valutazioni, per il mondo di fronte a cui viviamo, che pone problemi gravissimi ed estremi. Voi che ci siete più dentro lo sapete meglio di me che il mondo pone problemi gravi, e non in generale, ma di continuo, problemi con cui siamo continuamente confrontati in modo diretto, quindi la fede deve diventare una leva assoluta nel giudizio e nell’invocazione dell’intervento di Dio, altrimenti andiamo senza bussola in questo mondo.
Diceva don Giuseppe: “Contatto con le persone, anche con quelle che possono sembrare banali, perché in ogni anima ci sono strati delicati e sensibili e con problematiche acute; perfino i loro errori ci confrontano e ci contestano”. La maggior parte di voi ha impegni che mettono a contatto con le persone, ma se c’è una attenzione non superficiale alle loro anime, molto spesso si percepiscono grandi problematiche e difficoltà; lì dobbiamo stare molto attenti e operare con la fede per vedere le loro anime, le loro pene, le loro difficoltà e per ottenere dal Signore il suo intervento diretto e quello che indirettamente Dio vuole fare per loro.
Don Giuseppe dice: “Solo lo Spirito ci può dare questa fede: pura, piena, disinteressata, dono purissimo dello Spirito, che non cerca nulla per noi e tutto per il Signore”.
- Da IL MISTERO PASQUALE, CENTRO DELLA LITURGIA, Tesi di laurea presso la Facoltà teologica, giugno 2020
L’Eucaristia è il sacramento in cui si concentra tutta l’opera della Redenzione: in Gesù Eucaristia possiamo contemplare la trasformazione della morte in vita, della violenza in amore. Nascosta sotto i veli del pane e del vino, riconosciamo con gli occhi della fede la stessa gloria che si manifestò agli Apostoli dopo la Risurrezione, e che Pietro, Giacomo e Giovanni contemplarono in anticipo sul monte, quando Gesù si trasfigurò davanti a loro.
Ecco perché l’Eucaristia è cibo di vita eterna, Pane della vita. Dal cuore di Cristo, dalla sua “preghiera eucaristica” alla vigilia della passione, scaturisce quel dinamismo che trasforma la realtà nelle sue dimensioni cosmica, umana e storica. Tutto procede da Dio, dall’onnipotenza del suo Amore Uno e Trino, incarnato in Gesù. In questo Amore è immerso il cuore di Cristo; perciò Egli sa ringraziare e lodare Dio anche di fronte al tradimento e alla violenza, e in questo modo cambia le cose, le persone e il mondo. Questa trasformazione è possibile grazie ad una comunione più forte della divisione, la comunione di Dio stesso.
La parola “comunione”, che noi usiamo anche per designare l’Eucaristia, riassume in sé la dimensione verticale e quella orizzontale del dono di Cristo. È bella e molto eloquente l’espressione “ricevere la comunione” riferita all’atto di mangiare il Pane eucaristico. In effetti, quando compiamo questo atto, noi entriamo in comunione con la vita stessa di Gesù, nel dinamismo di questa vita che si dona a noi e per noi. Da Dio, attraverso Gesù, fino a noi: un’unica comunione si trasmette nella santa Eucaristia. Cosi san Paolo ci ricorda che “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1Cor 10,16-17).
SANT'AGOSTINO ci aiuta a comprendere la dinamica della comunione eucaristica quando fa riferimento ad una sorta di visione che ebbe, nella quale Gesù gli disse: “Io sono il cibo dei forti. Cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me” (Conf. VII, 10, 18). Mentre dunque il cibo corporale viene assimilato dal nostro organismo e contribuisce al suo sostentamento, nel caso dell’Eucaristia si tratta di un Pane differente: non siamo noi ad assimilarlo, ma esso ci assimila a sé, così che diventiamo conformi a Gesù Cristo, membra del suo corpo, una cosa sola con Lui. Questo passaggio è decisivo. Infatti, proprio perché è Cristo che, nella comunione eucaristica, ci trasforma in sé, la nostra individualità, in questo incontro, viene aperta, liberata dal suo egocentrismo e inserita nella Persona di Gesù, che a sua volta è immersa nella comunione trinitaria.
Così l’Eucaristia, mentre ci unisce a Cristo, ci apre anche agli altri, ci rende membra gli uni degli altri: non siamo più divisi, ma una cosa sola in Lui. La comunione eucaristica mi unisce alla persona che ho accanto, e con la quale forse non ho nemmeno un buon rapporto, ma anche ai fratelli lontani, in ogni parte del mondo. Da qui, dall’Eucaristia, deriva dunque il senso profondo della presenza sociale della Chiesa, come testimoniano i grandi Santi sociali, che sono stati sempre grandi anime eucaristiche. Chi riconosce Gesù nell’Ostia santa, lo riconosce nel fratello che soffre, che ha fame e ha sete, che è forestiero, ignudo, malato, carcerato; ed è attento ad ogni persona, si impegna, in modo concreto, per tutti coloro che sono in necessità. …
Dal dono di amore di Cristo proviene pertanto la nostra speciale responsabilità di cristiani nella costruzione di una società solidale, giusta, fraterna. Specialmente nel nostro tempo, in cui la globalizzazione ci rende sempre più dipendenti gli uni dagli altri, il Cristianesimo può e deve far sì che questa unità non si costruisca senza Dio, cioè senza il vero Amore, il che darebbe spazio alla confusione, all’individualismo, alla sopraffazione di tutti contro tutti. Il Vangelo mira da sempre all’unità della famiglia umana, un’unità non imposta da fuori, né da interessi ideologici o economici, bensì a partire dal senso di responsabilità gli uni verso gli altri, perché ci riconosciamo membra di uno stesso corpo, del corpo di Cristo, perché abbiamo imparato e impariamo costantemente dal Sacramento dell’Altare che la condivisione, l’amore è la via della vera giustizia.
- Per lo svolgimento dell’assemblea di Cenacolo/Delegazione o l’incontro di vita comune
Si può iniziare l’assemblea con la lettura di Mt 12,46-50, brano citato da don Barsotti.
- Da DON DIVO BARSOTTI, Circolare del 31 dicembre 1989, Festa della Sacra Famiglia, Vol. 3°
IL MISTERO DELLA FAMIGLIA NELLA RIVELAZIONE DIVINA
L’ultima rivelazione data da Giovanni ha definito Dio come amore; perciò gli attributi di Dio sono gli attributi dell’amore, che è costitutivo dell’essere divino: egli è, dunque, amore infinito, immenso, eterno. Ma Dio non sarebbe amore se non fosse comunione di sé nelle Persone divine. Infatti l’amore esige almeno la presenza di due persone, l’amante e l’amato. Dio è quindi comunione immensa, infinita ed eterna di un amore che passa da una Persona all’altra in tal modo che il Padre è soltanto Padre, in un rapporto necessario e totale di sé al Figlio; il Figlio è Figlio soltanto in rapporto al Padre. Ogni persona divina richiama necessariamente l’altra Persona dalla quale dipende ed alla quale si riferisce.
Da ciò si capisce l’importanza, il valore che ha la famiglia nel mistero cristiano. La prima rivelazione del mistero trinitario è la Sacra Famiglia nella quale vediamo un padre, una madre, un figlio. Il padre, anche se putativo, è veramente un padre di fronte alla legge. Infatti, Gesù non sarebbe figlio di Davide se non apparisse legalmente figlio di Giuseppe che appartiene alla famiglia di Davide, mentre Maria appartiene ad una stirpe sacerdotale. Quindi la famiglia umana è come il riflesso di quella comunione di amore della famiglia di Dio, costituita dai tre: Padre, Figlio e Spirito Santo, comunione di amore che è precisamente la vita di Dio.
Prima di tutto dobbiamo tener presente l’importanza che ha avuto sul piano divino la famiglia di Nazareth, la Sacra Famiglia. Gesù è vissuto per ben trent'anni come membro di questa famiglia, come figlio di Giuseppe e di Maria, senza svolgere alcuna missione particolare. Basterebbe questo fatto per dimostrare l’importanza che ha sul piano divino il mistero della famiglia. Infatti, se Dio è amore, noi non possiamo essere altro che amore ed è proprio nella famiglia che normalmente l’uomo impara ad amare. Il matrimonio è una scuola che insegna a poco a poco alla sposa ed allo sposo ad accettarsi vicendevolmente, ad essere a servizio l’uno dell'altro e soprattutto dei figli. Così l’amore da possessivo diventa sempre più oblativo, dono di sé fino al punto da non chiedere più nulla. E qualche volta il matrimonio esige perfino, in casi particolarissimi, un amore sacrificale, una donazione eroica!
Tu devi imparare a donarti e devi essere contento se ricevi; però l’amore vuole una risposta di amore. La vuole, ma non può esigerla perché l’amore è sempre libero in chi ama e in chi è amato e perciò non crea dei doveri e dei diritti che derivano dalla giustizia e non dall’amore. Il diritto di famiglia, nato nello Stato italiano, è un’offesa al matrimonio e dipende dal riconoscimento della legittimità del divorzio. Il matrimonio, che lega gli sposi per tutta la vita, esclude diritti e doveri; soltanto l’amore ha determinato e può mantenere l’unione dei due, non la giustizia!
È più la famiglia scuola d’amore che la castità perfetta, la quale suppone un amore già puro che nulla chiede e tutto si dà. Ma senza un carisma particolare non è bene introdurre un’anima su tale via; per questo il matrimonio è divenuto sul piano divino il mezzo provvidenziale e sacro di una lenta, quasi necessaria, comunque naturale trasformazione dell’egoismo naturale in amore vicendevole e poi rivolto a Dio. La famiglia è, dunque, scuola di amore; ecco perché per tanto tempo il Signore ha voluto vivere in famiglia come se non avesse altra missione che quella di santificare il suo nucleo familiare.
Questo è il mistero sconvolgente che noi celebriamo con la festa della Sacra Famiglia: di un Dio infinito, onnipotente che si fa uomo per salvare gli uomini e consuma la massima parte della sua vita nel nascondimento più grande, nel silenzio, vivendo nella casa di Nazareth insieme al padre putativo e a sua madre Maria. È venuto per salvare il mondo e non fa nulla: non predica, non fa miracoli, sembra non interessarsi degli uomini; vive solo per i due genitori. Tutto questo vuol dire che Dio attribuisce alla famiglia un valore immenso sul piano della redenzione. In realtà, perché la Chiesa riprenda il suo cammino, è necessaria la santificazione della famiglia; occorre che l’amore umano divenga per la grazia divina il mezzo di una comunione d’amore che certamente non finisce nei figli ma che deve trovare il suo alimento nella vita familiare per traboccare su tutta la comunità umana. La famiglia di Nazareth è, dunque, una naturale scuola di amore.
L’ultimo Concilio insegna che la vocazione alla santità è universale; dunque ad essa sono chiamati tutti gli uomini e nella maggior parte attraverso la famiglia, che perciò non deve considerarsi un impedimento alla perfezione. Anzi, noi sacerdoti dovremmo ricordare spesso agli sposati che Dio li chiama alla santità. E la santità consiste - come dicevo - in un amore puro, vero, universale, perché c’è pericolo che dall’egoismo del singolo si passi all’egoismo della famiglia. Nella famiglia di Nazareth, la madre e il padre putativo vivono per Gesù; ma Gesù, quando giunge l’ora, lascia la madre sola e si dedica alla sua missione. Così nella famiglia dobbiamo vivere il nostro amore facendoci da parte perché l’altro viva. La nostra gioia sta proprio nell’aiutare i figli a realizzare pienamente se stessi senza pretendere di legarli a noi. Essi devono vivere una loro vita, intraprendere un cammino indipendentemente da noi e compiere una loro missione. È una cosa bellissima vedere l’amore divenire grande e perfetto, quando tu hai donato tutto e gli altri vivono del tuo sacrificio e vanno avanti!
Così Gesù ha vissuto nella sua famiglia fintanto che non è giunto all’età in cui egli poteva iniziare la sua missione: verso i trent’anni si fa battezzare sulle rive del Giordano e non torna più a Nazareth. Maria Santissima rimane sola e pare dimenticata. Certo, Gesù l’amava lo stesso e Maria Santissima amava Gesù; però che amore sacrificale! Ma se ella non fosse rimasta nell’ombra avrebbe potuto essere un impedimento alla missione del Cristo.
Morto Giuseppe, rimasta sola, ella doveva obbedire a colui che era divenuto il capo della sua famiglia, il quale non credeva alla missione del Cristo. Maria però non dice una parola neppure quando è costretta a cercar di richiamare Gesù con la sua presenza: «Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti» (Mt 12,47) e con il suo silenzio si associa alla missione del figlio. Il silenzio della Vergine, il suo pudore, il suo rispetto per lui sono un insegnamento grandissimo.
Ma la famiglia di Nazareth c’insegna anche un’altra cosa: non solo la famiglia non è un ostacolo alla santità, ma in essa, anzi, normalmente gli uomini debbono tendere alla perfezione cristiana. Dio non fa discriminazioni: la più grande mistica della Chiesa italiana è santa Caterina da Genova, che si è santificata nel matrimonio con un marito che aveva dei figli naturali che ella ha accettato e con i quali è vissuta. Invece la beata Angela da Foligno è diventata una grande mistica dopo la morte del marito e dei figli; la beata Anna Maria Taigi, una delle più grandi mistiche del secolo passato, che aveva otto figli, è morta prima del marito.
Perciò, uno degli aspetti più importanti della Comunità è proprio il suo rivolgersi a tutti, sposati o no, purché tutti abbiano la volontà, il desiderio almeno di tendere alla perfezione evangelica, perché il Signore chiama tutti alla santità, come ha dichiarato appunto l’ultimo Concilio. Però questa sarebbe soltanto una dottrina priva di efficacia se di fatto non si realizzasse nella famiglia cristiana un cammino verso la santità.
A chi viene nella Comunità non chiediamo qualche opera, ma di intraprendere un cammino verso la santità cristiana, verso la perfezione evangelica. Chiunque deve tendere alla perfezione nel rispetto fondamentale delle esigenze dello stato nel quale il Signore l’ha posto. Uno sposo non può vivere come un certosino; tuttavia non deve pensare che la santità che può raggiungere debba essere minore di quella di chi vive in un convento. Infatti, la santità non consiste nella molti- plicazione delle opere o delle preghiere, ma nella perfezione dell’amore, una meta che tutti possono raggiungere. La santità della sposa non deve pesare, ma al contrario deve essere un aiuto, un riposo per lo sposo: sarà un’ala che solleva non solo lei, ma anche le anime e le persone che le sono vicine e che ella deve sollevare in alto. I mezzi che Dio dona a chi vive nel matrimonio per giungere alla santità sono la pazienza, la donazione di sé, l’umiltà, il sacrificio quotidiano per gli altri. L’amore è possibile in qualsiasi stato, per qualsiasi persona, in qualsiasi professione, in qualsiasi età.
Il terzo insegnamento che ci viene dalla Sacra Famiglia di Nazareth è anch’esso confermato da quanto afferma il Concilio: la famiglia è la piccola chiesa. Nella parrocchia il sacerdote può stabilire, sì, un certo rapporto con i parrocchiani, ma si tratta sempre di un rapporto vago, relativo, occasionale che non ti prende totalmente. Solo la famiglia naturale prende totalmente ciascuno di noi così da divenire la piccola Chiesa nella quale realizziamo appunto il mistero della Chiesa.
La famiglia è il sacramento vero della Chiesa che è l’alleanza di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio che dona poi anche la fecondità. La Chiesa è feconda, è Vergine e Madre come Maria Santissima. La famiglia è precisamente questo. Tu sei preso talmente dalla famiglia che ogni tuo vivere fuori di essa è un’evasione. Però non si tratta di una famiglia chiusa, perché l’amore nel cristianesimo è sempre aperto e crescendo e dilatandosi ti porta ad una donazione di te stesso fino a divenire l’espressione stessa dell’amore di Dio nella comunione immensa d’amore dei tre: Padre, Figlio, Spirito Santo, amore che poi si concretizza, s’incarna nella famiglia umana, nella famiglia di Nazareth nella quale Giuseppe vive unicamente per la sposa e per il figlio; il figlio vive soltanto la sua obbedienza e dipendenza dai genitori; Maria vive per l’uno e per l’altro in una dedizione di sé totale.
Per noi la Comunità è la Chiesa, ma non la sostituisce: quella parrocchiale è una comunità “sui generis”, importantissima oltre che necessaria, perché è la comunità di un amore divino che abbraccia tutti e che si rivolge a tutti, anche a coloro che ne sono lontani. Invece nella Comunità
religiosa, dove ci si conosce e ci si ama, il legame è più stretto, l’impegno è più vero ed è libero. L’appartenenza alla parrocchia è di carattere giuridico: appartieni a quella parrocchia perché vi sei nato e vi abiti; invece sei nella Comunità per una tua libera adesione che t’impegna verso la Comunità, ma soprattutto verso Dio in un cammino di perfezione.
Perciò, per noi la Comunità è la Chiesa nel senso che è una comunità di credenti, di coloro cioè che cercano Dio e che debbono divenire sempre più in Cristo “un’anima sola e un cuore solo”, come si legge negli Atti a proposito della comunità di Gerusalemme.
L’insegnamento della festa della Sacra Famiglia mi sembra molto importante specialmente per noi della Comunità che rivolgiamo l’invito a vivere la vita cristiana in un cammino di perfezione anche agli sposati. Tutti dobbiamo tendere alla perfezione evangelica perché Dio chiama tutti e ciascuno nella fedeltà alla propria vocazione specifica: io, come sacerdote nella castità perfetta, tu, sposa e madre nel matrimonio, un altro là dove il Signore lo ha posto; sulla via che Dio ha tracciato a ciascuno, tutti dobbiamo tendere verso la meta ultima che è la santità stessa di Dio.
- Discorso del ca Arcivescovo GIACOMO BIFFI, il 15 ottobre 1988 alla chiesa di San Giovanni
Allora credo che sia proprio il momento che parli io, e sono molto lieto di poterlo fare. Intanto esprimendo prima di tutto la mia gioia per questa realtà con cui io questa sera sono messo a contatto.
Credo che per chi proviene da lontano, dalla via Emilia, e arriva qui ... è un po’ una sorpresa trovare in mezzo a questa campagna un centro vivo di preghiera, di attenzione al Signore, è una sorpresa gioiosa, una sorpresa felice.
Don Giampaolo si rifaceva un po’ alla storia, e credo che sia una lezione utile quella di considerare che cosa è passato da queste terre. Proprio l’altro giorno io leggevo ... Mi è arrivato il secondo volume delle Lettere di Sant’Ambrogio, appena uscito, e così ogni giorno ne leggo una o due, secondo della lunghezza, perché alcune sono molto lunghe. Siccome dovevano mandare apposta un cavallo e un cavaliere a portarle, scrivevano un libro, qualche volta invece sono dei biglietti. Bene, ce n’è una che è indirizzata al Vescovo di Claterna, Quaderna - questo centro, questa diocesi che vedo che è un po' difficile da individuare esattamente, ma certamente è di queste parti -, in cui Sant’Ambrogio fa questo ragionamento. Dice: “Senti un po’, adesso arriva la Quaresima e la Pasqua e io non posso muovermi da Milano per arrivare fin lì. Allora ti prego, dai tu un’occhiata alla Chiesa di Imola che è da un po’ di tempo senza vescovo e non so come va, quindi cerca di andare un po’ spesso lì a vedere come vanno le cose, tienila d’occhio, tienila viva fino a che un certo momento si potrà avere un vescovo anche per la Chiesa di Imola”.
Allora facevo questo ragionamento dentro di me: evidentemente allora Claterna era una Diocesi così forte che era capace di venire incontro a una Chiesa sorella, che era quella di Imola, quindi doveva essere una chiesa viva. Adesso di questa Chiesa non resta più niente, tanto che non sappiamo più dove era la sede episcopale, perché tutte le volte che vado in giro sento dire che è dalle loro parti: a Ozzano, a Osteria Grande …, e credo che, sì certamente, dove passa il torrente Quaderna lì ci sia stata anche la località di Quaderna, Claterna, mentre Imola è una Chiesa viva. Allora, questo ci insegna che, sono alterne le vicende della storia e non bisogna né esaltarci troppo quando le cose sembrano andare a gonfie vele, né abbatterci troppo quando sembra che tutto sia perduto, perché i ritmi di Dio e i tempi suoi e i suoi progetti sono suoi, e noi possiamo soltanto cercare di capirli dopo che li abbiamo visti realizzati. Questo ci dà un senso di grande pace, perché davvero ci fa consapevoli che dietro di noi, e quindi al di là dei nostri sforzi, delle nostre agitazioni, delle nostre preoccupazioni, c’è Uno che conduce il gioco, e lo conduce certamente bene, anche se noi non sempre arriviamo a capire tutte le giravolte della sua strada.
E poi ascoltando don Giampaolo ho fatto un altro ragionamento, che è esattamente simmetrico e contrario a questo: che durante la guerra qui c’erano i carri armati e i cannoni, qui c’era puntato un cannone che sparava, non un cannone di bellezza, un cannone che sparava sul serio, che faceva dei bei disastri. Allora se uno avesse detto in quel momento: “Ma dov’è la forza? Sta in san Giovanni Battista la forza, che non è neanche capace di difendere la sua casa, che l’ha lasciata prendere da questi militari stranieri, o sta invece in questa potenza guerriera, che aveva i carri armati, i cannoni, che sapeva prendere le popolazioni?”. Noi avremmo detto: “Eh no, qui è proprio la sconfitta di Dio, la sconfitta, se non di Dio, almeno di san Giovanni Battista, visto che non riusciva neanche a difendere la sua chiesa”. Non sono passati molti anni e noi vediamo che, ringraziando il Cielo, qui di carri armati non c’è più neanche la traccia, di cannoni non se ne trovano più, la casa di San Giovanni Battista è tornata ad essere una casa di preghiera, una casa di riflessione, una casa dei figli di Dio e dei figli di Maria di Nazareth, come siamo tutti, che cercano qui il luogo dove crescere nella loro vita religiosa.
Allora vedete che né poteva esaltarsi troppo Claterna rispetto a Imola della sua forza di allora né dovevamo deprimerci noi per quell’eclissi che c’è stato di questa realtà religiosa.
E ancora una volta noi qui dobbiamo dire come la forza dello Spirito alla fine sia più grande, solo che ha i tempi lunghi, i tempi un po’ diversi e questo ci dà davvero molta serenità e molta pace.
Voi mi chiedete che vi dica qualche parola che possa essere custodita nel cuore e un po’ servire di luce. Ma io sono sempre molto esitante quando devo dire parole mie, perché mi sento molto impari a questo compito; però credo che posso con molta tranquillità dire a voi quelle parole che ho ascoltato nella Messa di oggi, la prima lettura della Messa di oggi. San Paolo scrivendo agli Efesini (1,1-23) dice: “Avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo e della vostra carità verso tutti i santi, rendo grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, pregando per voi perché abbiate lo spirito di sapienza e di rivelazione e possiate crescere nella conoscenza di Lui”, cioè nella conoscenza di Cristo.
Credo che posso ripetere queste parole: io ho avuto notizia - l’ho avuta da una parte un po' interessata, perché era don Giampaolo che me lo diceva, quindi è salvo controprova, ma qui una certa controprova la vedo - ho avuto notizia della vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo. E allora questa è la prima cosa che credo di poter dire, ed è proprio che abbiate a tener sempre viva la fede. Io ho visto che avete colto l’essenziale del cristianesimo e della vita cristiana, mettendo le virtù teologali come ciò che deve scandire il ritmo della vita cristiana, e questo è verissimo: il Signore non ci chiede nient’altro se non di essere credenti, cioè di vedere le cose con gli occhi di Cristo; di sperare, cioè di avere i desideri di Cristo e la sua tensione verso il Regno e verso il Padre, che trasluce da tutte le pagine del Vangelo, e di riprodurre in noi la carità di Cristo, cioè l'amore con cui egli sapeva amare il Padre e sapeva amare i fratelli. Questo è vero: tutta la vita cristiana è così.
Mi ricordo che una volta sono andato a fare gli esercizi spirituali in una Certosa, e il Priore, gentilissimo, mi ha dato una cella e mi ha assegnato anche un monaco certosino che tentasse di convertirmi, che ce la mettesse tutta per riuscirci. E lui infatti vedevo che non mi lasciava stare, ogni tanto veniva. È un orario un po' strano quello dei Certosini, perché loro mangiano una volta sola al giorno. Il Priore mi ha detto che io potevo mangiare anche due volte, quindi alla sera mi portavano un po’ di cena, ma insomma, non avendo neanche la cena loro alle sette e mezza andavano a letto, e andare a letto vuol dire che tutta la Certosa si paralizzava perché i fratelli certosini finivano il lavoro e andavano a letto; perfino il cane, che era un cane certosino, figlio di cani certosini, alle sette e mezza anche lui si ritirava e non se ne parlava più. È vero che poi si alzavano alle undici e mezza e cantavano le lodi di Dio fino all’una, l’una e mezza, e poi si alzavano ancora verso le cinque e mezza, le sei e io con molta buona volontà cercavo di seguire questo ritmo e lo seguivo, tranne che il più delle volte mi addormentavo e così finivo per dormire dalle sette e mezza di sera fino alle sei e mezza del mattino: credo che non ho mai dormito così tanto! Qualche volta mi è successo di riuscire ad andare all’ufficiatura notturna. Ma comunque, ad un certo momento io ho chiesto, tanto per tenerlo un po’ a bada questo certosino che mi incalzava: “Ma, mi spieghi un po’ un modo semplice di fare la meditazione”. “Ah – dice - è molto semplice: si può prendere qualunque cosa, la Sacra Scrittura, un libro, si può prendere un fatto…; se è un libro si prende una frase e la si traduce in un atto di fede, di speranza e di carità, e fin quando c’è materia va bene, poi quando non c’è materia si legge la frase che vien dopo e la si traduce in un atto di fede, di speranza e di carità. Per la verità prima aveva anticipato che prima di tutto bisogna mettersi in atteggiamento di purificazione del cuore, di distacco da tutti gli attaccamenti, i gusti ecc. Io non ho tenuto mica a mente molto di quel che mi ha detto in quella settimana, ma questa cosa me la ricordavo perché è essenziale e l’ho un po' ritrovata qui. Questa mi sembra molto essenziale.
Poi “ho avuto notizia della vostra carità verso tutti i santi”. La carità verso tutti i santi significa verso tutti i battezzati, e questo significa una grande apertura di cuore, uno stile aperto. Io credo che se c’è una cosa che deve caratterizzare la vita delle Sorelle, qui, e delle famiglie che girano attorno a questa realtà religiosa che insegue l’ideale monastico, è quella di essere molto aperti sulla grande famiglia del popolo di Dio, come mi pare anche di vedere. Quindi, che non abbia la scelta monastica ad essere una barriera che lascia dall’altra parte i cristiani. Sarebbe poi atroce se a un certo punto si pensasse di dire: quelli sono i semplici cristiani e noi siamo cristiani sul serio; questo sarebbe un atteggiamento di tipo gnostico ed è la cosa più lontana dallo spirito di Gesù.
Direi che una delle cose che è originale qui, ma che deve essere salvata e sottolineata, è questo innervamento della Comunità nella più ampia comunità parrocchiale, e questo vale, fatte tutte le proporzioni e gli adattamenti, per quelle famiglie che fanno capo a questo centro di spiritualità, che però vivono anche nella loro parrocchia.
Allora io credo che la domanda di don Burnelli, che è una domanda retorica, perché lui la risposta la sapeva già, è questa: non c’è nessuna incompatibilità se questa iniziativa spirituale non arriva a derubare le famiglie delle loro forze migliori, quasi insomma a scremare il latte e poi lasciare il latte scremato agli altri, ma arrivi ad arricchire le comunità di tutti quei fermenti e quegli impulsi e quelle cariche spirituali che si apprendono e si potenziano proprio nella vita religiosa, condotta con slancio e insieme anche con metodo, cioè obbedendo a una certa regola e a un certo schema di vita.
Allora io di questo ringrazio il Signore, se le cose sono così ringrazio il Signore e direi ringraziamo il Signore, per cui la Messa che celebriamo adesso sarà veramente una Eucaristia, cioè un ringraziamento, un ringraziamento di tutto, perché la Messa non si imprigiona mai in una piccola realtà, la Messa spazia sempre sull’universo, ha sempre una dimensione cosmica: si ringrazia il Signore di tutto, del fatto che ha avuto quella stranissima fantasia di creare il mondo, che è la cosa più strana, più difficile da capire, come mai gli è venuto in testa di crearlo; e poi il regalo del suo Figlio che ha rappresentato, per così dire, lo straripamento della divinità nella creazione, questa famiglia di Dio che si apre in modo che possa coinvolgere in se stessa anche le creature; questa Redenzione operata attraverso il sacrificio di Cristo... Di tutte queste cose si ringrazia il Signore. Ma il bello del cristianesimo è che non è così impigliato nella piccola vicenda nostra da non spaziare sempre nell’universo, e non è così alto da non arrivare alle piccole cose e alla nostra vita quotidiana. Quindi l’Eucaristia, partendo da questi temi, deve arrivare fino a ringraziare per la nostra vita, fino a ringraziare per questa realtà che c'è qui in San Giovanni e che c’è, insomma, nel vostro trovarvi insieme, con questo ideale da raggiungere, con questo scopo, con questo desiderio di crescita spirituale che avete nel cuore.
E allora io prego, questo significa che prego perché presiederò l’Eucaristia, e anche se sarò distratto pregherò per voi per forza, perché, essendo il presidente della assemblea la mia preghiera è oggettiva, e questo ci dà una grande pace. Noi sappiamo sempre che quando partecipiamo all’Eucaristia, come alle altre azioni sacramentali, il valore della nostra preghiera non è un valore che dipende unicamente dall’attenzione o dall’impegno che ci mettiamo noi, perché c’è dietro di noi sempre il grande Sacerdote che prega in noi.
Quindi io pregherò per voi nella Eucaristia, ma pregherò per voi anche da questo momento in avanti un po’ di più di quello che ho fatto fino adesso, e direi un po’ più motivato, perché adesso vi ho visti in faccia; era diverso sapere che c’eravate - intanto in media due volte all’anno don Giampaolo viene a raccontarmi la vicenda, io l’ho saputo per forza, anche a non volere dovevo sapere per forza che c’eravate - ma adesso avendovi visti in faccia, la mia preghiera sarà più motivata e spero anche che sarà più motivata la vostra, perché anche voi avete sempre sentito citare nella Messa, assieme al nostro Papa Giovanni Paolo, il nostro vescovo Giacomo, ma adesso il vostro vescovo Giacomo lo vedete perché sono io, quindi avete in mente la mia faccia vista un po’ più da vicino, e spero che anche la vostra preghiera sarà un po’ più motivata, un po’ più mirata.
E prego “il Padre del Signore nostro Gesù Cristo”, ed è bellissimo questo modo con cui san Paolo chiama Dio, perché di colpo questo Dio inaccessibile, questo Dio trascendente del quale neppure possiamo pensare qualcosa, del quale conosciamo piuttosto come non è, che come è, come dice san Tommaso d’Aquino che pure era uno che se ne intendeva dello studio della “scienzia Dei”, della teologia, ma ecco che quando Paolo lo chiama il “Padre del Signore nostro Gesù Cristo”, cioè il Padre di uno che ha in comune con noi la nostra natura, che è uomo con noi, che ha condiviso con noi la strada, la vicenda umana, già dall’inizio, avendo avuto una madre, per esempio, come l’abbiamo noi, soffrendo, come tocca a tutti di soffrire, incontrando difficoltà, patendo insuccesso, come tocca a tutti … Ecco questo Dio che è il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, di colpo questo Dio è diventato di casa. Noi ancora conserviamo questo senso della misteriosità, della trascendenza di Dio, della grandezza di Dio, ma di colpo ci sentiamo imparentati, e questa è una cosa grandissima, non c’è al mondo nessuna religione che ha mai pensato a cose simili.
“Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo vi doni lo spirito di sapienza”, che significa non solo
conoscere il fine ma anche i mezzi per raggiungere il fine e significa non solo conoscere i mezzi, ma significa anche conoscere il fine, perché qualche volta capita agli uomini di dimenticare l’una o l’altra di queste due parti. La maggior parte degli uomini d’oggi vive preoccupata dei mezzi, ma non si ricorda più per che cosa sono i mezzi, sono così impegnati a vivere che si dimenticano di domandarsi a che cosa serve la vita. Se voi incontraste un uomo per la strada che porta un grande macigno sulle spalle e suda e fa fatica, e uno dice: “Che strano, come è possibile che al giorno d’oggi ci sia uno che abbia un grande macigno sulle spalle?”. E andando là gli dice: “Scusi, ma lei perché porta questo macigno?”. Si sente dire: “Ma io non ho mica tempo di perdermi in queste domande sciocche; non vede che sono impegnato a portare il macigno?”. “Eh bravo – dici - ma se non sai il perché?” … Allora gli uomini sono un po’ così, sopportano questo grande macigno dell’esistenza, di fare una grande fatica, e non si domandano mai perché. Per noi esiste un fine!
D’altra parte non sarebbe una sapienza prudente, cioè la sapienza non arriverebbe alla virtù della prudenza, se si continuasse soltanto a pensare al fine, ma non si sapesse quali sono i mezzi concreti per arrivare al fine. Tutto quel programma di vita che io qui ho sentito, che avevo anche letto, in fin dei conti è la scelta della strada per arrivare al fine, cioè è il senso dei mezzi per arrivare al fine.
E mi auguro che il Signore vi conceda lo spirito di sapienza e di rivelazione, cioè questo stupore perché il velo è caduto davanti ai nostri occhi. La nostra vita è sempre annebbiata: qui credo che voi di nebbia ve ne intendete, anche dalle mie parti, quindi siamo abbastanza fratelli in questo. Ecco, sapete, è come quando capitano di quei bei nebbioni che non si vede proprio niente, se di colpo la nebbia si alza e voi potete vedere tutta la campagna, anche il cuore si allarga: questa è la rivelazione. … La rivelazione vuol dire quest’uomo che cammina nella nebbia dell’esistenza, perché sono strade nebbiose quelle dell’esistenza, a un certo punto il velo si alza e lui sa il perché: sa perché è venuto al mondo, sa che cos’è qui a fare, sa la meta verso cui è indirizzato, sa che c'è un Dio che gli vuol bene, sa che c'è una Chiesa che lo avvolge con la sua maternità, per cui anche se si sbanda, anche se lui non è proprio uno stinco di santo, però c’è la grande fede della Chiesa, come diciamo nella Messa: “Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa”. Guai se non ci fosse la fede della Chiesa che ci avvolge, noi avremmo soltanto i nostri peccati. Qualcuno in questi anni sembra che avesse scambiato le parole, diceva: “O Signore, non guardare i peccati della Chiesa, ma la mia fede”. Eh no, questo non è da cristiani, questa non è la prospettiva cristiana.
Allora prego davvero che abbiate questo spirito di rivelazione: la mente che si squarcia e si vede il paesaggio; per arrivare a che cosa? Che cosa riassume tutto? Che cosa è la sintesi di tutto, nel quale tutto è compreso? La conoscenza di Cristo! Perché chi conosce Cristo conosce Dio - “Chi vede me vede il Padre” -, conosce il disegno che Dio ha pensato dall’eternità per la nostra salvezza, perché è Lui, reso Persona, il progetto di Dio, e conosce anche la verità di tutte le cose, perché le cose in tanto sono vere in quanto sono riverberi della bellezza, della grandezza, della realtà che è tutta racchiusa in Cristo, immagini qualche volta un po’ deteriorate, ma sempre immagini, immagini che qualche volta assomigliano poco, ma che chiedono di essere fatte sempre un po’ più somiglianti. Anche gli altri sono immagini di Cristo e questa è la verità più difficile del cristianesimo, almeno per me: è quella di credere che gli uomini sono fatti a immagine o somiglianza di Dio, e di Cristo, perché qualche volta, quando si vedono certe cose ...: ma è mai possibile che questa è un’immagine di Cristo? Quando c’è tanta cattiveria, come è possibile? Sì, è possibile, solo che è un’immagine screpolata. Allora capite perché si devono amare gli uomini, anche quelli che non sono buoni. Tutti i movimenti sociali che predicano la filantropia, l’amore per gli uomini, ma si dimenticano di dire che l’uomo è immagine di Cristo non hanno fondamento. Perché devo amare gli uomini? Perché sono amabili! Mica vero che sono amabili, qualche volta non sono affatto amabili! … Perché sono immagine di Cristo, e sono sì magari deteriorate, screpolate. Capita come per una icona, che quando è un po’ screpolata non è che l’amiamo di meno, non è che un antico quadro della Madonna ... anche la Madonna di San Luca non è proprio così brillante come se fosse fatta adesso, ma l’amiamo moltissimo, anche se ha qualche ingiuria del tempo su di lei l’amiamo di più.
Così bisogna amare l'immagine di Cristo, che sono tutti gli uomini: questa è la conoscenza del Signore Gesù Cristo nella quale voi imparate tutto, e noi sappiamo che è possibile crescere in questa conoscenza, perché c’è già una creatura che l’ha avuta in pienezza, la Vergine Maria; la Vergine Maria ha già la conoscenza completa di Lui, perché nessuno ha mai potuto conoscere Gesù come Lei, che l’ha conosciuto anche con gli occhi materni, oltre che con gli occhi di colei che è stata completamente arresa alla proposta di Dio, e quindi con occhi verginali, colei che non era impigliata in niente della realtà terrena. Lì già c’è tutta la conoscenza di Cristo, conoscenza viva, quindi anche l’amore di Cristo, perché la Vergine Maria è la Chiesa, non solo nella sua immagine, ma anche nella sua primizia e in qualche modo anche nella sua sintesi.
Perciò ecco che questo aspetto che ho colto nella vostra presentazione non è qualche cosa di marginale, ma è qualche cosa di centrale nel cristianesimo.
Allora credo che io, sì, posso davvero aspettarmi molto da questa famiglia così un po’ variegata, se ho capito bene, come, è la vita in sostanza, ci sono tante situazioni, tante cose ..., che non deve preoccuparsi di stabilire forti confini tra se stessa e la comunità cristiana ma deve piuttosto preoccuparsi di sapersi inserire, che gli altri non vi vedano mai come personaggi troppo lontani, diversi, no, che vi vedano sempre come una fortuna: ci sono tante fortune a questo mondo, come ci sono anche tanti guai, in genere ogni fortuna comporta anche qualche guaio. Spero che il guaio che voi date sia piccolo, ma che sia una fortuna per la comunità cristiana nella quale siete inseriti.
Ecco, sono tutte le cose che non vi ho detto io, ma che mi è sembrato che vi abbia detto san Paolo con quel brano che la Chiesa ci ha offerto nella Messa di oggi, e che provvidenzialmente mi pareva che fosse attualizzato per voi, e rivolto particolarmente a voi.
Perbacco, sono le cinque, ma qui ... non mi capita mai di parlare così a lungo, si vede che sono stato affascinato da questa assemblea, vuol dire che farò riparazione e farò una predica ancora più lunga ...
- Preghiera di SAN FRANCESCO D’ASSISI (Lettera a tutto l’Ordine II, 26-29), inserita da Papa Francesco al termine della sua Lettera Apostolica Desiderio desideravi, sulla formazione liturgica del popolo di Dio (29 giugno 2022)
Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti,
quando sull’altare, nella mano del sacerdote,
è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo.
O ammirabile altezza e stupenda degnazione!
O umiltà sublime! O sublimità umile,
che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio,
si umili a tal punto da nascondersi, per la nostra salvezza,
sotto poca apparenza di pane!
Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio,
e aprite davanti a Lui i vostri cuori;
umiliatevi anche voi, perché siate da Lui esaltati.
Nulla, dunque, di voi trattenete per voi,
affinché tutti e per intero vi accolga Colui che tutto a voi si offre.
C. Per il dialogo o la verifica personale
- Al continuo invito all’ascolto della Parola di Dio, al suo annuncio e alla preghiera, cerco di rispondere incrementandoli, a riguardo sia del tempo che vi dedico sia della qualità con la quale mi impegno?
- Ne sono anche un fedele interprete e testimone, ho una vita conforme alla volontà di Dio, che è la santità della vita abitata da Cristo, che diviene Luce attraente nelle tenebre del mondo?
- Sono una fortuna per la comunità cristiana nella quale sono inserito/a o porto guai? (card. Biffi).
- Eucaristia …, ringraziamento per tutto … Io ringrazio?
- “Io, qui dove vivo, io, in famiglia, io, al lavoro, nella mia comunità, promuovo la comunione, sono tessitore di riconciliazione, di pace?” (papa Francesco).