5° incontro

- Dal DIRETTORIO
Dir. 1.2) Sotto la croce ogni consacrato accoglie Maria come Madre e a Lei si affida perché, come ha fatto con Gesù, lo formi vero figlio di Dio. È quello che Lei sicuramente vuole e lo farà. Con la preghiera di consacrazione esprimiamo il desiderio di essere uniti a Lei, accolti nel suo cuore immacolato, “perché siamo suoi figli”, e ci affidiamo alla sua “potente intercessione”.
Maria ha vissuto la sua offerta alla volontà del Padre, la sua docilità allo Spirito Santo, la sua comunione intima con Gesù in una vita semplice, laboriosa, ordinaria e di casa, nascosta ma aperta a Dio e agli uomini.
La sua presenza d’amore protegge le case e tutti gli incontri. Con Maria di Nazareth e, come Lei, tutti i suoi figli sono chiamati a diventare testimoni di Dio, manifestandolo nella propria vita col servire la sua Parola.
Dir. 4.1.1) Propone la visita a luoghi della santità e della salvezza, dotati inoltre di una loro bellezza discreta e limpida; ci si reca in un posto legato alla devozione mariana o alla vita di un santo o ad una particolare devozione o presenza religiosa. È uno stimolo per fare di tutta la vita un cammino interiore verso la realizzazione della propria esistenza: “Beato chi trova in te, Signore, la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio!” (Sal 84,6).

- Dalla Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di SAN PAOLO VI (4 §48)

Qui noi tocchiamo un aspetto dell’evangelizzazione che non può lasciare insensibili. Vogliamo parlare di quella realtà che si designa spesso oggi col termine di religiosità popolare. Sia nelle regioni in cui la Chiesa è impiantata da secoli, sia là dove essa è in via di essere impiantata, si trovano presso il popolo espressioni particolari della ricerca di Dio e della fede. Per lungo tempo considerate meno pure, talvolta disprezzate, queste espressioni formano oggi un po' dappertutto l'oggetto di una riscoperta. I Vescovi ne hanno approfondito il significato, nel corso del recente Sinodo, con un realismo pastorale e uno zelo notevoli. La religiosità popolare, si può dire, ha certamente i suoi limiti. È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi di superstizioni. Resta spesso a livello di manifestazioni cultuali senza impegnare un'autentica adesione di fede. Può anche portare alla formazione di sètte e mettere in pericolo la vera comunità ecclesiale. Ma se è ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori. Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all'eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione. A motivo di questi aspetti, Noi la chiamiamo volentieri «pietà popolare», cioè religione del popolo, piuttosto che religiosità. … Ben orientata, questa religiosità popolare può essere sempre più, per le nostre masse popolari, un vero incontro con Dio in Gesù Cristo.

- Da SR. AGNESE della Piccola Famiglia dell’Annunziata, Lezioni sulla Piccola Regola, dal Quinto incontro

“ALLA BEATA MARIA, MADRE DI DIO, SEMPRE VERGINE, IMMACOLATA E ASSUNTA” - quarta parte

La pietà popolare
Un rapporto personale con la Vergine, dice don Giuseppe, è il nucleo di verità della pietà popolare. La pietà popolare, rispetto alla Vergine, ha colto questo elemento: magari è poco fondata teologicamente, magari in certe cose è esuberante, un po’ fanatica, un po’ magica, un po’ mitica, ha tutte queste scorie che noi conosciamo benissimo e che in certe situazioni si vedono bene, con tanti elementi molto accessori; però l’intuizione popolare è questa: Lei è madre e Lei interviene a nostro favore. Questa è l’intuizione fondamentale e non bisogna perderla: al di là di tutto, lei è sempre all’opera vicino a noi: c’è, è lì.
Don Giuseppe dice cose molto belle su questo argomento.
“Come il Signore dice: Il Padre mio è sempre all’opera, si potrebbe anche dire: la Madre mia è sempre all’opera”. La Madonna è sempre all’opera vicino a noi. E la certezza di quest’opera vicino a noi ci dà la base sicura per un rapporto personale, per il quale veramente e continuamente le chiediamo aiuto.
“Soprattutto sotto la croce è veramente la presenza della madre sempre pronta a fare scudo di sé alla sua creatura”: sempre pronta a difenderci, a mettersi davanti a noi, e a lei possiamo sempre far ricorso con la certezza della sua maternità profonda.
Ancora: “Conservare insieme questa operazione di considerare la Vergine nel suo mistero, quale appare dalla Scrittura, e insieme la dimensione del rapporto personale e fiducioso con la Vergine che ci soccorre, intuizione felice del popolo cristiano”. Il popolo sa che può andare da lei e anche noi dobbiamo saperlo, non dobbiamo disprezzare questa dimensione: l’equilibrio vero della pietà mariana deve comprendere il carattere d’intelligenza del suo mistero e il carattere di amore della sua persona. Saper leggere dentro al suo mistero attraverso la Scrittura e amare la sua persona e la sua maternità, affidarci a Lei con quella fiducia un po’ infantile e istintiva, come ha il popolo, che ricorre a lei con una pietà del tutto immediata.
In questo senso sono molto belle le preghiere che si dicono alla fine dell’Ufficio: Salve Regina, Regina coeli, Alma Redemptoris Mater, tutte preghiere molto poetiche, molto vive, molto calde nel rapporto con la Vergine e, insieme, molto sicure, molto solide. C’è anche quella antifona antichissima, credo del II secolo, una delle più antiche, cara sia alla tradizione ortodossa sia a quella cattolica, che noi cantiamo tanto spesso: Sub tuum praesidium confugimus.
Don Giuseppe spiega: “La devozione alla Madonna è una devozione di pietà popolare, che è globalmente vera soprattutto perché il popolo cristiano ha in sé questo istinto, cioè coglie della Madonna, appunto, il suo carattere personale di Madre sempre operante in soccorso del popolo cristiano. Magari lo fa con esuberanza o con applicazioni ingenue o con aspetti che sono più sentimentali che fondati veramente sul dato biblico, però quello che fa nella sua sintesi non è che non sia vero, cioè la percezione, l’intuizione di una comunione con una persona che ci è madre e che è sempre all’opera in nostro soccorso”. Come sempre don Giuseppe ha un grandissimo equilibrio, riesce a fare delle sintesi equilibrate per l’anima, dove mette insieme vari elementi, tenendo presente da una parte la linea più ortodossa, anche più rigida, eliminando ciò che non va bene, e dall’altra tiene conto che c’è un cuore del popolo che va oltre tutte le deviazioni, le stranezze, le invenzioni e che veramente va colto, perché altrimenti si corre il rischio di perdere la linfa vitale. Bisogna stare molto attenti in queste operazioni di riforma o di purificazione: non devono diventare delle mutilazioni; bisogna andare molto piano, stare molto in ascolto, specialmente quando queste realtà durano da millenni e quindi hanno una loro radice di santità, di pietà e di semplicità.
Un elemento particolare di questa pietà popolare che vede la Madonna presente nella nostra vita, è un’invocazione istintiva, continua, immediata della Vergine, in ogni circostanza. La nostra anima dovrebbe spontaneamente rivolgersi a questa invocazione che un tempo era molto comune; oggi, forse, nella pietà, specialmente dei nostri ambienti, non è così spontanea.


La Madonna, e poi i santi
Nelle generazioni più giovani, penso ad alcune delle nostre sorelle trentenni, c’è una certa difficoltà a moltiplicare i punti di riferimento della preghiera; è una difficoltà psicologica probabilmente. Invece è molto bello vivere una vita comunitaria nella preghiera, cioè percorrere la comunità del cielo, sperimentando che la preghiera non è tutta uguale: qualche volta senti che devi rivolgerti al Cristo, qualche volta senti che devi rivolgerti alla Madonna, o ai santi. Abituarsi a percorrere il Cielo, come quando il Salmo dice: “Circondate Sion, contate le sue torri, e ammirate le sue meraviglie”. Abituarsi a credere che c’è un universo di persone nel cielo, che tu puoi percorrere con libertà, da figlio di Dio; tu sei a casa tua, una casa che tu puoi liberamente percorrere. Certo l’adorazione è solo per la Trinità: questo è un rapporto assolutamente unico dell’anima con Dio e trascende tutto; ma per arrivare a questo, ci sono tanti aiuti, tanti soccorsi, tanti compagni di strada già arrivati, che possono tendere la mano. Oltre tutto è anche un segno di umiltà il non tentare da soli “la scalata”. Il Signore ce li ha dati questi aiuti e non possiamo pensare con un po’ di orgoglio di avere un rapporto con Dio solo. Bisogna arrivare lì, è ovvio, non ci si ferma prima, sarebbe idolatria, ma bisogna anche accettare che il Signore ci abbia dato in aiuto la Chiesa del cielo, come ci ha dato in aiuto quella della terra.
Ho l’impressione che nelle nostre generazioni la difficoltà del rapporto con Dio venga anche dal fatto di avere un po’ disprezzato, o meno valutato, tutti gli aiuti che il Signore ci ha voluto dare in questo cammino, mentre questi aiuti il popolo umile se li piglia.
Anche don Giuseppe in questi anni ha detto tante volte che bisogna cercare i santi, che bisogna avere rapporti con loro; lui ha tutto un suo pantheon, tutta una serie di santi amici del cielo che lo hanno veramente aiutato e a cui è molto grato. Una serie di amici: uno gli insegna una cosa, l’altro gliene insegna un’altra, uno lo aiuta per questo, l’altro lo aiuta per quello. Certo non sant’Antonio per gli oggetti smarriti…, ma un aiuto proprio spirituale.
La Madonna poi è veramente il centro fondamentale di tutti gli intercessori.
Ha ragione DANTE, quando dice che chi vuole arrivare al Signore senza di lei “vuol volar senz’ali”. Non c’è modo di arrivarci senza di lei, bisogna sempre passare attraverso di lei, che lo sappiamo o che non lo sappiamo; se poi lo sappiamo è anche grande consolazione, perché è una grande dolcezza essere accompagnati da questa Madre nel nostro arduo cammino.
Attraversare la barriera della trascendenza divina è possibile solo attraverso Cristo, ma è possibile arrivare a Cristo, attraverso lo Spirito Santo, sì, ma anche attraverso la Vergine.
Quindi recuperare questo istinto d’invocazione della Vergine in ogni circostanza.

- Da una riflessione di DON DIVO BARSOTTI del 1984, proposto da Massimo alla convivenza estiva 2020
Il potere del cristiano è molto più grande di quello di Reagan o di Cornenko, perché la salvezza del mondo dipende dai cristiani, non da loro. È vero che abbiamo timore dei missili, ma Nostro Signore può far venire un mal di testa a quello che deve pigiare il bottone. Tutto è imprevedibile: nonostante che l’uomo creda di avere tutto in mano, non ha in mano nulla, perché non ha in mano se stesso.
Diceva Pascal: “Se Cleopatra avesse avuto il naso un centimetro più lungo le sorti del mondo sarebbero state diverse”. Allora non c’erano i missili, ma bastava il naso di Cleopatra a cambiare il mondo; così può cambiare il mondo un mal di testa venuto all’ultimo momento. Siamo noi che dirigiamo il mondo con la preghiera, perché Dio agisce ora attraverso l’uomo. Una volta che ha scelto l’umanità del Cristo per compiere le opere sue, Egli opera ancora nel mondo attraverso l’umanità che Egli ha assunto: la Chiesa, noi. Ecco l’importanza della nostra preghiera, non solo per la nostra santificazione, ma per la salvezza del mondo; e non crediate che l’opera più grande di carità sia assistere i malati o di provvedere ai poveri: è invece la nostra preghiera, perché a nessun atto umano Dio nel Vangelo ha assicurato efficacia quanto alla preghiera dell’uomo. Egli ha detto che tutto quello che chiederemo lo otterremo. È una promessa divina, e Dio non può deludere se la nostra è vera preghiera.
Non possiamo dimenticarlo: una vita religiosa autentica è sempre nostalgia di silenzio, un bisogno di intimità, un richiamo all’unione. La vita cristiana è essenzialmente rapporto, ma come fare a vivere questo rapporto se non senti questo invito, se non ti senti attratto là dove Egli vive?
B) Per lo svolgimento dell’assemblea generale
Si può iniziare l’assemblea con la lettura di Apocalisse 12,1-6.

- Da una meditazione di DON DIVO BARSOTTI durante un ritiro tenuto a Firenze il 15 luglio 1984
I POCHI CHE SALVANO I MOLTI
Uno ha salvato tutti. Generazione per generazione, sono i pochi che salvano i molti. Non pretendiamo che i quattrocentocinquantamila fiorentini siano tutti santi da canonizzarsi: i santi sono sempre pochini. Ce ne saranno, intendiamoci. Ammettiamo che ce ne siano viventi oggi a Firenze cinquanta, ma questi cinquanta sono sufficienti a salvare il popolo fiorentino, perché la massima parte si salva in un rapporto con queste persone. Come attraverso Mosè Israele riceve la legge ed entra nel piano di Dio, della salvezza, così attraverso i santi cristiani la massa entra, in un modo informale, sia pure, ma in modo vero, nel piano della grazia di Dio. Perciò queste anime che non vivono proprio sul piano della relazione cristiana, però non la rifiutano, ne beneficiano attraverso la mediazione di coloro che, legati a questa massa, vivono in quella luce.
Ecco sono i santi che salvano il mondo. È l’insegnamento che ci dà l’Islam: le trentasei colonne che reggono il mondo. Forse ricorderete il romanzo scritto da un ebreo (lo scrittore francese di origine polacca ed ebraica André Schwarz-Bart, 1928-2006) che qualche anno fa era di moda, “L’ultimo dei giusti”: anche questo romanzo faceva presente uno dei temi fondamentali della mistica ebraica, cioè che vi sono i giusti che salvano l’umanità. Sono pochi, ma sono sufficienti. E quello che è vero nella tradizione islamica e nella tradizione ebraica è vero anche per noi cristiani: sono i santi che salvano il mondo.
I santi sono visibili, i santi vivono in mezzo agli uomini, e sono loro praticamente i mediatori della grazia divina. Mediatori perché i santi hanno sempre un’influenza. La Chiesa salva sia attraverso i sacramenti, sia attraverso il magistero, sia attraverso questi santi, queste persone, perché in fondo la mediazione fondamentale che Dio ha voluto è precisamente la mediazione dell’umanità del Cristo, mediazione che continua attraverso coloro che sono le membra vive del mistico Corpo di Cristo: i santi. E che questi santi debbano essere soprattutto coloro che hanno ricevuto nella Chiesa una missione è fondamentalmente vero, cioè i sacerdoti, i religiosi, i vescovi: essi sono chiamati ad essere santi con una responsabilità ancora maggiore che i semplici cristiani. E di qui nasce anche che il male che essi possono fare – se non sono mediatori di grazia – è molto superiore al male che può fare un semplice laico, anche cristiano.
Per questo non dobbiamo avere gran turbamento se vediamo il mondo che sembra precipitare nell’incredulità, che sembra allontanarsi da Dio; non dobbiamo avere grande sgomento, ma dobbiamo avere piuttosto – noi che di questo ci accorgiamo – un senso più vivo della nostra responsabilità, perché non sono gli uomini di governo, non sono i filosofi, non sono gli scienziati che governano il mondo, ma sono i cristiani. Cristo è colui che ha la regalità sull’universo e questa regalità è partecipata a coloro che sono suoi membri. Siamo noi, dunque, quelli dai quali dipende la salvezza degli uomini, noi nella misura che siamo stati chiamati a seguirlo più da vicino.
Perché vogliamo che i membri della Comunità vivano nel mondo? Precisamente per questo. Potrebbero andare in solitudine, in clausura, vivere in un monastero. Perché invece la maggior parte di quelli che vivono nella Comunità debbono tendere alla santità rimanendo nel mondo? Precisamente per questo. Voi siete nel mondo come il sacramento visibile a Dio. Dovete sapere che la vostra presenza deve salvare la vostra contrada, il vostro paese, le persone che amate, i vostri parenti, gli amici, tutti coloro che in qualche misura, sia pur minima, sono legati a voi. È proprio per il legame che hanno con voi che queste persone dovranno salvarsi: i pochi salvano i molti.
Ecco l’impegno nostro, ecco la nostra responsabilità. Noi dobbiamo vivere come i Dodici, nella comprensione dei misteri di Dio, perché a noi è stato dato di comprendere, a noi è stato dato di vedere, a noi è stato dato di ascoltare, a noi è stato dato di riconoscere il Cristo, in vista proprio di una missione di salvezza che ci è affidata nei confronti dei fratelli. Non dobbiamo giudicare gli altri né condannarli, ma condannare noi stessi nella misura che noi, pur ascoltando, non comprendiamo, pur vivendo cerchiamo di non riconoscere, cerchiamo di difenderci cioè da quelle responsabilità che nascono in noi dal fatto di aver ricevuto una vocazione più alta.

- Da SR. AGNESE della Piccola Famiglia dell’Annunziata, Lezioni sulla Piccola Regola, dal Quinto incontro

“ALLA BEATA MARIA, MADRE DI DIO, SEMPRE VERGINE, IMMACOLATA E ASSUNTA” - quinta parte
La Madonna nella Piccola Regola
Come è descritta la Madonna nella REGOLA? Nella Regola la Madonna è descritta con alcuni titoli: “beata Maria, Madre di Dio, … sempre Vergine, Immacolata e Assunta”. Sono questi i titoli fondamentali attribuiti alla Madonna.

Madre di Dio
È il primo e fondamentale attributo, quello da cui scaturisce tutto il resto, e a questo bisogna sempre ritornare. La Vergine è realmente Madre di Dio, cioè non è soltanto Madre di Gesù, non è soltanto Madre dell’uomo-Gesù, ma è realmente Madre di Dio, cioè da lei veramente è stato generato Gesù Cristo, uomo-Dio, la cui persona è il Verbo. È un abisso, è un grande abisso di mistero questa generazione divina della Vergine, ma è un dogma di fede assoluto da cui scaturisce tutto il resto: tutte le sue prerogative, tutte le sue bellezze, tutte le sue grandezze dipendono da questo.
Nel documento che il PAPA GIOVANNI PAOLO II ha scritto sulla donna Mulieris Dignitatem, mi è parso molto bello che il primo paragrafo inizi così: “Donna Madre di Dio”, cioè la Vergine messa come paradigma della donna, in quanto Madre di Dio. La massima dignità della donna è quella: c’è una donna che è Madre di Dio. E questo poi, in un certo senso, si riflette su tutta la realtà femminile: dire che la donna è Madre di Dio, significa dire che la donna ha questa capacità (sempre, io credo) di portare nel mondo Dio, di generare nel mondo Dio. Ma questo è un discorso più complicatello.
Certamente la Vergine è così: è Madre di Dio, ha generato Dio e questa è la cosa fondamentale. Dice don Giuseppe: “Alla base dei suoi titoli c’è questo, che è fondamentale, da cui derivano tutte le sue eventuali prerogative, tutti gli eventuali titoli. Ma diciamo subito la nostra fede: «Madre di Dio», ed è questo il primo e fondamentale criterio dell’ortodossia della Chiesa, che venera nella Beata Vergine Maria la Madre di Dio, colei che ha veramente generato Dio”.
Questa fede in lei come Madre di Dio ha riflessi molto chiari anche sulla cristologia; se è veramente Madre di Dio, avendo generato, in Gesù, il Verbo di Dio fatto carne, è chiaro che Cristo non può essere altro che Gesù. Don Giuseppe, nella sua penultima omelia a Roma, prima di partire, ha insistito molto su questo punto che Gesù è il Cristo. Esiste la tesi che Gesù sia il Cristo, sì, è il Cristo, come tale, non è solo Gesù, ci sono tanti Cristi, Cristo è una funzione, un uomo unto da Dio e scelto da Dio per portare nel mondo una salvezza. Quindi Gesù è certamente il Cristo, ma il Cristo può essere anche Buddha, e altri, perché Cristo è un nome di funzione, non un nome di persona… Ma questo cambia tutto.
Don Giuseppe lo dice con espressioni anche molto accorate che una mariologia esatta è la garanzia più forte della nostra ortodossia, per il futuro della vita della Famiglia: questo è proprio l’ago della bilancia.

Sempre Vergine
Anche questa cosa è essenziale per la teologia. La fede tradizionale della Chiesa nella verginità di Maria è estremamente importante per la teologia, non soltanto per la mariologia, ma per tutta la concezione del mondo: la verginità di Maria è una nuova creazione, non è semplicemente una virtù, che ci può essere o non essere e più o meno è la stessa cosa: la verginità feconda di Maria è una nuova creazione.
L’AKATHISTOS lo afferma con forza: “Rivelò una creazione il Creatore, nascendo dalla Verginità di Maria”. Qui bisognerebbe fare un discorso più ampio su questo problema, io mi sono preparata per farlo, anche se intuisco che è una cosa molto importante.
Quando il PREFAZIO DI NATALE dice: “La Verginità feconda di Maria ha dato al mondo il Salvatore” vuol dire che la verginità è un valore profondo di questa nuova creazione che diventa feconda di Dio. Bisogna mettere al centro questa cosa e la tradizione cristiana l’ha sempre affermata fin dai primissimi secoli: è detto nel Vangelo, ed è detto da tutta la tradizione, mentre oggi è molto discussa. Pur non essendo dogma, è una prerogativa che è sempre stata affermata dalla tradizione.
Dice don Giuseppe: “Quando ho scritto questa cosa («sempre Vergine»), non avevo molto presenti le polemiche che si sono poi fatte più tardi, ma avevo presente la «sempre Vergine» della liturgia soprattutto greca e quindi mi è venuto spontaneo affermare questo con la Scrittura che la qualifica «Vergine», e con la costante tradizione della Chiesa che sempre la qualifica «sempre Vergine», ben presto fissando nei confronti di Maria questa misura anche più dell’Ortodossia”. L’ha messo all’inizio la Regola, perché lo ritiene un punto della mariologia particolarmente importante e che dobbiamo ritenere importante.
Qualche teologo afferma che, sì, bisogna credere alla verginità di Maria, ma, in fondo, è indifferente: può valere tutto, sia che lo sia, sia che non lo sia. Non credo che si possa dire così. C’è veramente una differenza teologica in questa affermazione, proprio perché questa realtà è tale che determina una creazione diversa, una creazione nuova, un nuovo tipo di realtà creaturale: c’è un’apertura della creazione – attraverso la verginità di Maria – alla presenza personale di Dio nel Verbo incarnato. Il discorso andrebbe specificato e molto approfondito. È certo una realtà non negoziabile, perché è una realtà che condiziona molti altri elementi della nostra ortodossia, non è una cosa marginale.

Immacolata
Don Giuseppe ha messo in evidenza proprio gli ultimi due dogmi dichiarati dalla Chiesa, probabilmente, sull’onda di averli vissuti lui stesso e anche vissuti, non dico con difficoltà, ma certamente, avvertendo, specialmente riguardo al dogma dell’Assunta, non pochi problemi. Però lui ha voluto mettersi subito al sicuro, affermandoli, proprio all’inizio della Regola, come due realtà a cui lui crede e che mette a fondamento della nostra devozione, della nostra pietà e della nostra conoscenza del mistero della Vergine.
“Immacolata”: è un termine recente, che risale al secolo scorso, anche se poi veramente dell’Immacolata hanno parlato anche molti altri nei secoli precedenti. “Maria Immacolata” è un pensiero costante e lo si trova sin dalle origini nella Chiesa anche d’Oriente (che pure non ha espressamente adoperato questo titolo) per dire una prerogativa di Maria, cioè che essa si trova, rispetto al peccato, in una condizione del tutto diversa da quella in cui si trovano gli altri uomini. La Chiesa d’Oriente non ha accettato il dogma dell’Immacolata Concezione, nel senso che non ha mai accettato il fatto che la Vergine sia esente dal peccato originale; questo perché ha una concezione diversa del peccato originale, non perché non creda nel carattere di assoluta purezza e immacolatezza della Vergine. La Chieda d’Oriente ritiene che la generazione umana contenga il peccato originale, proprio in quanto generazione umana; indipendentemente da tutte le circostanze, ogni creatura nata da uomo e donna nasce nel peccato. Quindi, siccome la Vergine è nata da uomo e donna (e nessuno ha mai pensato che sia nata in modo particolare) allora questo tipo di peccato lei ce l’ha come tutti gli altri; questo non vuol dire che lei non sia immacolata e purissima, piena di grazia, senza ombra di peccato. La divergenza tra le due Chiese sta in questo: la nostra Chiesa ritiene che ci sia stata una specie di prevenzione totale ed assoluta della Vergine che non sia mai stata toccata dal peccato neanche nel modo più piccolo e lieve.
Dice don Giuseppe: “Essa è in una condizione diversa da quella degli altri uomini rispetto al peccato, perché essa lo ha vinto non solo in sé, ma è lo strumento in cui Dio ha operato, attraverso il Figlio incarnato, la distruzione del peccato in tutti gli uomini”. La Vergine ha vinto il peccato non solo in sé, perché non l’ha mai avuto, ma perché in sé ha accolto il Figlio di Dio che l’ha distrutto per tutti gli altri; quindi è senza peccato ed è strumento di lotta contro il peccato anche per tutti gli altri.
La Vergine, proprio perché non ha mai avuto contatto con il peccato, può lottare meravigliosamente contro il peccato anche in tutti gli altri suoi figli, proprio per la sua assoluta purezza e immacolatezza. Su di lei il peccato non ha presa, quindi lei può lottare con grande libertà e sicurezza. Tutti gli uomini, anche se possono e vogliono aiutare gli altri, hanno sempre prima da purificare se stessi dal peccato, perché in loro il peccato ha presa; sono sempre in qualche modo coinvolti e il peccato che è in loro rende loro meno facile aiutare gli altri. C’è sempre una certa connivenza col peccato che rende meno trasparenti, meno capaci di lottare contro il peccato altrui; in lei non è così, in lei, come in Cristo, non c’è questa connivenza con il peccato, tutto il suo essere è separato dal peccato. Il nostro essere, anche nei santi, ha una qualche connivenza con il peccato, se non altro quel fermento di malizia che è in fondo al nostro essere, che il peccato originale ci ha lasciato. In lei proprio non c’è. Assoluta trasparenza e quindi assoluta forza: Immacolata in questo senso.
Dice don Giuseppe: “Quindi a buon diritto adoperiamo questo termine, non contrapponendolo e non lasciandolo contrapporre, non cadendo nella dialettica della contrapposizione della teologia della Chiesa d’Oriente e d’Occidente, ma invece prendendo la sostanza di quello che è comune a tutte le teologie della Chiesa, che in tutti i tempi hanno celebrato Maria come distruzione del peccato di Adamo”.
Indipendentemente da tutta la teoria del peccato originale che divide un po’ le due Chiese, la sostanza che tutte e due accettano è che Maria Vergine è la distruzione del peccato di Adamo, è quindi la creatura nuova contrapposta al peccato in tutto il suo essere: non c’è fibra del suo essere che abbia aggancio con il peccato e che non sia antidoto contro il peccato. È la creatura assolutamente intatta e quindi inaccessibile al peccato, non solo, ma appunto perché inaccessibile, aggressiva contro il peccato. Proprio per questa sua estrema purezza, attraverso di lei passa il raggio dello Spirito che è distruzione del peccato, passa il Cristo che è distruttore del peccato. Immagine della perfetta trasparenza a Dio e quindi della perfetta inimicizia contro il peccato.

Assunta
Qui il senso è maggiore tra le due Chiese, anche se non si trova nelle Scritture. In un certo senso, il dogma dell’Immacolata può trovare qualche aggancio nella Scrittura. Infatti “piena di grazia” è stato interpretato da tutti in questo senso. Dell’Assunta nella Scrittura non si parla; questo ha creato problema, perché è un dogma che non ha fondamento scritturale, e infatti nella festa dell’Assunta bisogna sempre usare questi due accomodatizi, che si applicano alla Vergine, ma che non sono propri.
Nel Vangelo non c’è scritto, negli apocrifi sì, ma non nel Vangelo. È vero però che la tradizione più antica della Chiesa d’Oriente e d’Occidente ha concordemente trasmesso la certezza che il corpo della Vergine è già nella gloria: questo è il dogma dell’Assunzione.
Anche questo dogma è importante per le conseguenze teologiche, ma la definizione del dogma ha creato problemi soprattutto nelle Chiese della Riforma che non accettavano di ammettere un dogma separatamente da quello che è nella Scrittura. D’altra parte questo vuol dire che la tradizione orale può trasmettere delle verità che non necessariamente sono considerate nella Scrittura. È questo un principio molto criticato ed è stata contestata l’opportunità di farne un dogma. La verità della glorificazione del corpo della Vergine tutti l’ammettevano, perché era tradizione costante della Chiesa, quindi non potevano negarla sia in Oriente che in Occidente, ma è stata criticata l’opportunità di fare una dichiarazione dogmatica senza un fondamento scritturale.
È stato un momento molto delicato, molto difficile, che ha creato notevoli tensioni e che però non ci impedisce affatto di aderire con tutto il cuore alla certezza che la Vergine è Assunta in cielo. L’opportunità o meno della risoluzione dogmatica riguarda i teologi e il Papa, ma la cosa in sé è sicura, non c’è da confondersi su questo punto. Il fatto che ci siano state tante difficoltà fa sì che ancora adesso ci si possa chiedere se era opportuno o no farne un dogma. Ma è stato fatto e dobbiamo dire che è giusto e dobbiamo essere grati perché in fondo ci ha dato una certezza ancora più grande e più bella della glorificazione del corpo di una persona umana come noi. È molto importante che una persona umana, come noi, sia immersa già adesso, anche col corpo, pienamente, nella divinità e nella Trinità; è una grande speranza, è una grande luce, è già una grande realtà anche nostra: in fondo, se c’è lei, ci siamo anche noi.
Don Giuseppe appunto diceva che è molto importante rimanere attaccati a queste definizioni e cercare sempre più di approfondirle. “Questi sono i titoli principali coi quali noi veneriamo la Madonna, ci sentiamo in comunione con lei e garantiamo la nostra fede. Ecco, quindi vorrei fermarmi un poco su un concetto che ho esposto più volte: la Madonna e il retto sentiero di essa è la garanzia dell’ortodossia. Si dice di lei: “Cunctas haereses interemisti in universo mundo - Tu hai distrutto tutte le eresie nel mondo intero”. Ecco, io sento, alla fine di questa mia vita, che un retto riferimento alla Vergine, continuo, abituale, è veramente e sicuramente efficace per garantire l’ortodossia della fede: dove entra la Madonna non entra l’eresia. La Madonna intesa come l’intendiamo, con questo riferimento costante alla Scrittura. Veramente non entra l’eresia, è garantita la nostra fede dalle deviazioni, particolarmente nel campo della cristologia. C’è tra Maria e Gesù una solidarietà tale, oggettiva, che si ripercuote in tutti gli ambiti e in tutti i settori del nostro pensiero e della nostra prassi; quindi restare fermamente ancorati alla Vergine e ai suoi attributi fondamentali di Madre di Dio, sempre Vergine, Immacolata e Assunta, garantisce da ogni possibile deviazione nella cristologia. Garantisce cioè la fede retta, una fede retta che diventa anche una prassi conforme. Quindi non solo l’ortodossia come schema astratto di pensiero, ma anche come uno schema di pensiero che diventa azione conforme, non solo l’astrazione mentale, ma anche il cuore che rettamente sente, che rettamente formula dottrinalmente il pensiero. E per me la ragione, in fondo, per la quale tanto insisto e raccomando, è questa: fino a che noi saremo fedeli alla Madonna in questo senso, essa ci garantirà sempre da eventuali errori nella dottrina, specialmente nella dottrina relativa a Cristo e il nostro pensiero sarà, attraverso la Vergine, depurato, custodito, assicurato di pensare di Cristo sempre rettamente; ciò soprattutto per la fede e per l’andamento della Comunione”.
- Conclusione della Lettera apostolica Redemptoris Mater del PAPA SAN GIOVANNI PAOLO II (nn. 51-52) Al termine della quotidiana liturgia delle Ore si innalza, tra le altre, questa invocazione della Chiesa a Maria: «O alma Madre del Redentore, porta sempre aperta del cielo e stella del mare, soccorri il tuo popolo, che cade, ma pur anela a risorgere. Tu che hai generato, nello stupore di tutto il creato, il tuo santo Genitore!». «Nello stupore di tutto il creato»! Queste parole dell'antifona esprimono quello stupore della fede, che accompagna il mistero della maternità divina di Maria. Lo accompagna, in certo senso, nel cuore di tutto il creato e, direttamente; nel cuore di tutto il popolo di Dio, nel cuore della Chiesa. Quanto mirabilmente lontano si è spinto Dio, creatore e signore di tutte le cose, nella «rivelazione di se stesso» all'uomo! Quanto chiaramente egli ha superato tutti gli spazi di quell'infinita «distanza», che separa il creatore dalla creatura! Se in se stesso rimane ineffabile ed imperscrutabile, ancor più ineffabile ed imperscrutabile è nella realtà dell'incarnazione del Verbo, che si è fatto uomo mediante la Vergine di Nazareth. Se egli ha voluto chiamare eternamente l’uomo ad essere partecipe della natura divina (2Pt 1,4), si può dire che ha preordinato la «divinizzazione» dell’uomo secondo le sue condizioni storiche, sicché anche dopo il peccato è disposto a ristabilire a caro prezzo il disegno eterno del suo amore mediante l’«umanizzazione» del Figlio, a lui consostanziale. Tutto il creato e, più direttamente, l’uomo non può non rimanere stupito di fronte a questo dono, di cui è divenuto partecipe nello Spirito Santo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16). Al centro di questo mistero, nel vivo di questo stupore di fede, sta Maria. Alma Madre del Redentore, ella lo ha provato per prima: «Tu che hai generato, nello stupore di tutto il creato, il tuo santo Genitore»! Nelle parole di questa antifona liturgica è espressa anche la verità della «grande svolta», che è determinata per l’uomo dal mistero dell’incarnazione. È una svolta che appartiene a tutta la sua storia, da quell’inizio che ci è rivelato nei primi capitoli della Genesi fino al termine ultimo, nella prospettiva della fine del mondo di cui Gesù non ci ha rivelato «né il giorno né l'ora» (Mt 25,13). È una svolta incessante e continua tra il cadere e il risollevarsi, tra l’uomo del peccato e l’uomo della grazia e della giustizia. La liturgia, specie nell’Avvento, si colloca al punto nevralgico di questa svolta e ne tocca l'incessante «oggi e ora», mentre esclama: «Soccorri il tuo popolo, che cade, ma pur sempre anela a risorgere»! Queste parole si riferiscono ad ogni uomo, alle comunità, alle nazioni e ai popoli, alle generazioni e alle epoche della storia umana, alla nostra epoca, …: «Soccorri, sì soccorri il tuo popolo che cade»! Questa è l’invocazione rivolta a Maria, «alma Madre del Redentore», è l’invocazione rivolta a Cristo, che per mezzo di Maria è entrato nella storia dell’umanità. Di anno in anno, l’antifona si innalza a Maria, rievocando il momento in cui si è compiuta questa essenziale svolta storica, che perdura irreversibilmente: la svolta tra il «cadere» e il «risorgere». … La svolta fondamentale, la svolta che si può dire «originale», accompagna sempre il cammino dell'uomo e, attraverso le diverse vicende storiche, accompagna tutti e ciascuno. È la svolta tra il «cadere» e il «risorgere», tra la morte e la vita. Essa è anche una incessante sfida alle coscienze umane, una sfida a tutta la coscienza storica dell’uomo: la sfida a seguire la via del «non cadere» nei modi sempre antichi e sempre nuovi, e del «risorgere», se è caduto. … La Chiesa, con tutta la comunità dei credenti e in unione con ogni uomo di buona volontà, raccoglie la grande sfida contenuta nelle parole dell'antifona sul «popolo che cade, ma pur anela a risorgere» e si rivolge congiuntamente al Redentore ed a sua Madre con l'invocazione: «Soccorri». Essa, infatti, vede - e lo attesta questa preghiera - la Beata Madre di Dio nel mistero salvifico di Cristo e nel suo proprio mistero; la vede profondamente radicata nella storia dell’umanità, nell’eterna vocazione dell’uomo, secondo il disegno provvidenziale che Dio ha per lui eternamente predisposto; la vede maturamente presente e partecipe nei molteplici e complessi problemi che accompagnano oggi la vita dei singoli, delle famiglie e delle nazioni; la vede soccorritrice del popolo cristiano nell’incessante lotta tra il bene e il male, perché «non cada» o, caduto, «risorga».