10° incontro

- Dallo STATUTO e dal DIRETTORIO
St. 2.3 §2) Ogni consacrato, che ha scoperto l’amore del Signore nel proprio cuore e nella propria vita, consapevole dei doveri del proprio stato davanti a Dio, è personalmente impegnato e aiutato nella Comunità a fare spazio alla Sua presenza, cercando di eliminare progressivamente gli impedimenti all'azione della Sua grazia, per essere disponibile a una preghiera continua e a un servizio della Parola del Signore e del suo Vangelo vissuto.
Dir.. 2.4.3 §5) Nella meditazione personale e nell’orazione intima e libera si accolga l’invito ad entrare con Gesù nella volontà del Padre. Occorre indubbiamente un certo tempo e spazio per trovare un rapporto personale con Dio e per rimanere da figli con grande fiducia davanti al Padre. Il Signore è vicino, ci ascolta anche se risponde con i suoi tempi, ma sempre per il bene nostro e di tutti; il Signore gradisce la preghiera carica di audacia, gradisce infatti che gli si chiedano cose grandi.

- Dalla Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di SAN PAOLO VI (4 §41.82)

La Chiesa, la testimonianza di una vita autenticamente cristiana, abbandonata in Dio in una comunione che nulla deve interrompere, ma ugualmente donata al prossimo con uno zelo senza limiti, è il primo mezzo di evangelizzazione. «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, - dicevamo lo scorso anno a un gruppo di laici - o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». S. Pietro esprimeva bene ciò quando descriveva lo spettacolo di una vita casta e rispettosa che «conquista senza bisogno di parole quelli che si rifiutano di credere alla Parola». È dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità. Tale è il voto che siamo lieti di deporre nelle mani e nel cuore della Santissima Vergine Maria, l’Immacolata, in questo giorno che Le è particolarmente consacrato, nel decimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II. Al mattino della Pentecoste, Ella ha presieduto con la sua preghiera all’inizio dell’evangelizzazione sotto l’azione dello Spirito Santo: sia lei la Stella dell’evangelizzazione sempre rinnovata che la Chiesa, docile al mandato del suo Signore, deve promuovere e adempiere, soprattutto in questi tempi difficili ma pieni di speranza!

- Dalla Lettera del PAPA SAN GIOVANNI PAOLO II dell’8 dicembre 2003 sulla spiritualità monfortana
SAN GIOVANNI MARIA GRIGNION DE MONFORT – terza parte

Maria, membro eminente del Corpo mistico e Madre della Chiesa

Secondo le parole del Concilio Vaticano II, Maria “è riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa e sua immagine ed eccellentissimo modello nella fede e nella carità” (Cost. LUMEN GENTIUM, 53). La Madre del Redentore è anche redenta da lui, in modo unico nella sua immacolata concezione, e ci ha preceduto in quell’ascolto credente e amante della Parola di Dio che rende beati (cfr ibid., 58). Anche per questo, Maria “è intimamente unita alla Chiesa: la Madre di Dio è la figura (typus) della Chiesa, come già insegnava sant’Ambrogio, nell’ordine cioè della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo. Infatti, nel mistero della Chiesa, la quale pure è giustamente chiamata madre e vergine, la Beata Vergine Maria è la prima, dando in maniera eminente e singolare l’esempio della vergine e della madre” (ibid., 63). Lo stesso Concilio contempla Maria come Madre delle membra di Cristo (cfr ibid., 53; 62), e così Paolo VI l’ha proclamata Madre della Chiesa. La dottrina del Corpo mistico, che esprime nel modo più forte l’unione di Cristo con la Chiesa, è anche il fondamento biblico di questa affermazione. “Il capo e le membra nascono da una stessa madre” (Trattato della vera devozione, 32), ci ricorda san Luigi Maria. In questo senso diciamo che, per opera dello Spirito Santo, le membra sono unite e conformate a Cristo Capo, Figlio del Padre e di Maria, in modo tale che “ogni vero figlio della Chiesa deve avere Dio per Padre e Maria per Madre” (Segreto di Maria, 11). In Cristo, Figlio unigenito, siamo realmente figli del Padre e, allo stesso tempo, figli di Maria e della Chiesa. Nella nascita verginale di Gesù, in qualche modo è tutta l’umanità che rinasce. Alla Madre del Signore “possono essere applicate, in modo più vero di quanto san Paolo le applichi a se stesso, queste parole: «Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore, finché non sia formato Cristo in voi» (Gal 4,19). Partorisco ogni giorno i figli di Dio, fin quando in loro non sia formato Gesù Cristo, mio Figlio, nella pienezza della sua età” (Trattato della vera devozione, 33). Questa dottrina trova la sua più bella espressione nella preghiera: “O Spirito Santo, concedimi una grande devozione ed una grande inclinazione verso Maria, un solido appoggio sul suo seno materno ed un assiduo ricorso alla sua misericordia, affinché in lei tu abbia a formare Gesù dentro di me” (Segreto di Maria, 67). Una delle più alte espressioni della spiritualità di san Luigi Maria Grignion de Montfort si riferisce all’identificazione del fedele con Maria nel suo amore per Gesù, nel suo servizio di Gesù. Meditando il noto testo di SANT’AMBROGIO: “L’anima di Maria sia in ciascuno per glorificare il Signore, lo spirito di Maria sia in ciascuno per esultare in Dio” (Expos. in Luc., 12,26), egli scrive: “Quanto è felice un’anima quando... è tutta posseduta e guidata dallo spirito di Maria, che è uno spirito dolce e forte, zelante e prudente, umile e coraggioso, puro e fecondo” (Trattato della vera devozione, 258). L’identificazione mistica con Maria è tutta rivolta a Gesù, come si esprime nella preghiera: “Infine, mia carissima e amatissima Madre, fa’, se è possibile, che io non abbia altro spirito che il tuo per conoscere Gesù Cristo e i suoi divini voleri; non abbia altra anima che la tua per lodare e glorificare il Signore; non abbia altro cuore che il tuo per amare Dio con carità pura e ardente come te” (Segreto di Maria, 68).

- Dal libro “Alla scuola dell’amore” di DON DIVO BARSOTTI, trascrizione di meditazioni tenute il 15 luglio 1984

IL MISTERO DELLA VISITAZIONE – terza parte
Una triplice presenza
Questa realtà del mistero implica una triplice presenza: presenza della Vergine, per la presenza della Vergine la presenza dello Spirito cui vi abbandonate, e per l’abbandono allo Spirito Santo la presenza stessa del Cristo, che vi prende e vi possiede, perché possiate vivere con lui una medesima vita, e possiate dire con l’apostolo Paolo: “Vivo io, ma non sono più io che vivo, il Cristo vive in me”.
Non è questo già il Paradiso? Si, il Paradiso non è nulla di più, noi viviamo questo nella fede, lo vivremo domani nella visione, quando i nostri occhi saranno capaci di vedere quello che oggi noi crediamo. Ma la realtà rimane la stessa, è comunione dolcissima con la Vergine pura, è abbandono totale di noi allo Spirito di Dio, è amore infinito del Cristo, che ci assume per divenire con noi un solo corpo vivo: questo è il Paradiso! Allora noi vedremo Dio, lo vedremo con gli occhi stessi del Verbo, perché divenuti una sola cosa con lui; una sarà la vita del Cristo con l’anima, una la lode del Cristo e dell’anima al Padre celeste. Lo facciamo già qui, perché ogni tempo per l’anima veramente fedele si apre nell’eternità di Dio, ogni luogo per l’anima veramente fedele si apre alla divina immensità. Ogni tempo e ogni luogo è per noi il segno e il sacramento che fa presente la realtà di questo mirabile mistero, il mistero di un amore infinito che si comunica al mondo, del Cristo e dello Spirito di Dio.
Ma questo mistero di comunione divina, di comunicazione divina, indubbiamente esige la presenza della Vergine, perché è la Vergine che ha creduto e deve insegnare anche a noi come si crede. Ricordate quello che dice Elisabetta alla Vergine, proprio quando la Vergine va a visitarla? “Beata tu che hai creduto, perché si compiranno in te tutte le cose che ti ha detto il Signore”. Se dunque dobbiamo vivere questa comunione con Dio e con lo Spirito, non vivremo questa comunione se parteciperemo alla fede stessa della Vergine, che ha creduto alla parola dell’Angelo. Che anche voi, possiate credere come Maria. Ecco perché Maria si fa presente, per donarvi e per parteciparvi qualche cosa della sua fede, e per vivere della medesima unione di amore. Fede, ma fede pura, fede semplice; ed è la fede che anche renderà possibile a voi, nella comunione della vostra anima con Cristo, di vivere l’amore stesso di Maria, la purezza di Maria, la semplicità di Maria, l’umiltà della Vergine pura.

I frutti di questa presenza
Le virtù sono secondarie, non perché siano meno importanti, ma perché vengono in secondo luogo, sono il frutto soltanto di una vita di amore e di fede. Prima dobbiamo vivere la realtà del mistero: nella misura in cui vivremo la realtà del mistero noi parteciperemo di quelle virtù che hanno distinto la vita della Vergine; allora vivremo la sua semplicità, e vivendo la semplicità sparisce la molteplicità di tutte le cose. L’amore di Dio rende tutto uguale. Se si vive la comunione con Dio, c'è poca differenza tra essere papa o essere spazzino. Che aggiunge essere papa a quello che sono, se Dio vive in me? Ogni missione che io ricevo nella Chiesa, ogni grandezza umana, piuttosto che aggiungermi mi toglie qualcosa, perché mi dà l’impressione che quella sia la vera grandezza, mentre la vera grandezza è questa fede per accogliere il dono di Dio, questa semplicità dell’anima che vive l’unica cosa necessaria, la divina Presenza.
Ma si vivrà con la Vergine anche la sua purezza, e tutta l’anima nostra sarà data a lui solo; tutto l’essere nostro si consuma in un atto di amore che ci unisce al Signore. E non solo la purezza, non solo la semplicità, ma anche l’umiltà; infatti, vivendo nella luce divina, avviene quello che avviene quando a mezzogiorno si vogliono guardare le stelle, e non si vedono più. E così io nella luce di Dio non mi vedo più, ho perso me stesso, non sono più nulla: egli solo è, lui solo l’Amato!

B) Per lo svolgimento dell’assemblea di Cenacolo/Delegazione o l’incontro di vita comune

Si può iniziare l’assemblea con la lettura di Giovanni 2,1-12.

- Dalla Lettera del PAPA SAN GIOVANNI PAOLO II dell’8 dicembre 2003 sulla spiritualità monfortana
SAN GIOVANNI MARIA GRIGNION DE MONFORT – quarta parte

La santità, perfezione della carità

Recita ancora la Costituzione LUMEN GENTIUM: “Mentre la Chiesa ha già raggiunto nella beatissima Vergine la perfezione che la rende senza macchia e senza ruga (cfr Ef 5,27), i fedeli si sforzano ancora di crescere nella santità debellando il peccato; e per questo innalzano gli occhi a Maria, la quale rifulge come l’esempio della virtù davanti a tutta la comunità degli eletti” (n. 65). La santità è perfezione della carità, di quell’amore a Dio e al prossimo che è l’oggetto del più grande comandamento di Gesù (cfr Mt 22,38), ed è anche il più grande dono dello Spirito Santo (cfr 1Cor 13,13). Così, nei suoi Cantici, san Luigi Maria presenta successivamente ai fedeli l’eccellenza della carità (5), la luce della fede (6) e la saldezza della speranza (7).
Nella spiritualità monfortana, il dinamismo della carità viene specialmente espresso attraverso il simbolo della schiavitù d’amore a Gesù sull’esempio e con l’aiuto materno di Maria. Si tratta della piena comunione alla kénosis di Cristo; comunione vissuta con Maria, intimamente presente ai misteri della vita del Figlio. “Non c'è nulla fra i cristiani che faccia appartenere in modo più assoluto a Gesù Cristo e alla sua Santa Madre quanto la schiavitù della volontà, secondo l’esempio di Gesù Cristo stesso, che prese la condizione di schiavo per nostro amore - formam servi accipiens -, e della Santa Vergine, che si disse serva del Signore. L’apostolo si onora del titolo di servus Christi. Più volte, nella Sacra Scrittura, i cristiani sono chiamati servi Christi” (Trattato della vera devozione, 72). Infatti, il Figlio di Dio, venuto al mondo in obbedienza al Padre nell’Incarnazione (cfr Eb 10,7), si è poi umiliato facendosi obbediente fino alla morte ed alla morte di Croce (cfr Fil 2,7-8). Maria ha corrisposto alla volontà di Dio con il dono totale di se stessa, corpo e anima, per sempre, dall’Annunciazione alla Croce, e dalla Croce all’Assunzione. Certamente tra l’obbedienza di Cristo e l’obbedienza di Maria vi è un’asimmetria determinata dalla differenza ontologica tra la Persona divina del Figlio e la persona umana di Maria, da cui consegue anche l’esclusività dell’efficacia salvifica fontale dell’obbedienza di Cristo, dalla quale la sua stessa Madre ha ricevuto la grazia di poter obbedire in modo totale a Dio e così collaborare con la missione del suo Figlio. La schiavitù d'amore va, quindi, interpretata alla luce del mirabile scambio tra Dio e l’umanità nel mistero del Verbo incarnato. È un vero scambio d’amore tra Dio e la sua creatura nella reciprocità del dono totale di sé. “Lo spirito di questa devozione... è di rendere l'anima interiormente dipendente e schiava della Santissima Vergine e di Gesù per mezzo di Lei” (Segreto di Maria, 44). Paradossalmente, questo “vincolo di carità” rende l'uomo pienamente libero, con la vera libertà dei figli di Dio (cfr Trattato della vera devozione, 169). Si tratta di consegnarsi totalmente a Gesù, rispondendo all’Amore con cui Egli ci ha amato per primo. Chiunque vive in tale amore può dire come san Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20).

La “peregrinazione della fede”

Ho scritto nella NOVO MILLENNIO INEUNTE che “a Gesù non si arriva davvero che per la via della fede” (n. 19). Proprio questa fu la via seguita da Maria durante tutta la sua vita terrena, ed è la via della Chiesa pellegrinante fino alla fine dei tempi. Il Concilio Vaticano II ha molto insistito sulla fede di Maria, misteriosamente condivisa dalla Chiesa, mettendo in luce l’itinerario della Madonna dal momento dell’Annunciazione fino al momento della Passione redentrice (cfr Cost. Lumen gentium, 57 e 67; Lett. enc. Redemptoris Mater, 25-27). Negli scritti di san Luigi Maria troviamo lo stesso accento sulla fede vissuta dalla Madre di Gesù in un cammino che va dall’Incarnazione alla Croce, una fede nella quale Maria è modello e tipo della Chiesa. San Luigi Maria lo esprime con ricchezza di sfumature quando espone al suo lettore gli “effetti meravigliosi” della perfetta devozione mariana: “Più dunque ti guadagnerai la benevolenza di questa augusta Principessa e Vergine fedele, più la tua condotta di vita sarà ispirata dalla pura fede. Una fede pura, per cui non ti preoccuperai affatto di quanto è sensibile e straordinario. Una fede viva e animata dalla carità, che ti farà agire solo per il motivo del puro amore. Una fede ferma e incrollabile come roccia, che ti farà rimanere fermo e costante in mezzo ad uragani e burrasche. Una fede operosa e penetrante che, come misteriosa polivalente chiave, ti farà entrare in tutti i misteri di Gesù Cristo, nei fini ultimi dell’uomo e nel cuore di Dio stesso. Una fede coraggiosa, che ti farà intraprendere e condurre a termine senza esitazioni cose grandi per Dio e per la salvezza delle anime. Una fede, infine, che sarà tua fiaccola ardente, tua vita divina, tuo tesoro nascosto della divina Sapienza e tua arma onnipotente, con la quale rischiarerai quanti stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte, infiammerai quelli che sono tiepidi ed hanno bisogno dell’oro infuocato della carità, ridarai vita a coloro che sono morti a causa del peccato, commuoverai e sconvolgerai con le tue soavi e forti parole i cuori di pietra e i cedri del Libano e, infine, resisterai al demonio e a tutti i nemici della salvezza" (Trattato della vera devozione, 214). Come san Giovanni della Croce, san Luigi Maria insiste soprattutto sulla purezza della fede e sulla sua essenziale e spesso dolorosa oscurità (cfr Segreto di Maria, 51-52). È la fede contemplativa che, rinunciando alle cose sensibili o straordinarie, penetra nelle misteriose profondità di Cristo. Così, nella sua preghiera, san Luigi Maria si rivolge alla Madre del Signore dicendo: “Non ti chiedo visioni o rivelazioni, né gusti o delizie anche soltanto spirituali... Quaggiù io non voglio per mia porzione se non quello che tu hai avuto, cioè: credere con fede pura senza nulla gustare o vedere” (ibid., 69). La Croce è il momento culminante della fede di Maria, come scrivevo nell’Enciclica Redemptoris Mater: “Mediante questa fede Maria è perfettamente unita a Cristo nella sua spoliazione... È questa forse la più profonda kénosis della fede nella storia dell’umanità” (n. 18).

Segno di sicura speranza

Lo Spirito Santo invita Maria a “riprodursi” nei suoi eletti, estendendo in essi le radici della sua “fede invincibile”, ma anche della sua “ferma speranza” (cfr Trattato della vera devozione, 34). Lo ha ricordato il Concilio Vaticano II: “La Madre di Gesù, come in cielo, glorificata ormai nel corpo e nell’anima, è l’immagine e la primizia della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, cosi sulla terra brilla come un segno di sicura speranza e di consolazione per il Popolo di Dio in marcia, fino a quando non verrà il giorno del Signore” (Cost. LUMEN GENTIUM, 68). Questa dimensione escatologica è contemplata da san Luigi Maria specialmente quando parla dei “santi degli ultimi tempi”, formati dalla Santa Vergine per portare nella Chiesa la vittoria di Cristo sulle forze del male (cfr Trattato della vera devozione, 49-59). Non si tratta in alcun modo di una forma di “millenarismo”, ma del senso profondo dell’indole escatologica della Chiesa, legata all’unicità e universalità salvifica di Gesù Cristo. La Chiesa attende la venuta gloriosa di Gesù alla fine dei tempi. Come Maria e con Maria, i santi sono nella Chiesa e per la Chiesa, per far risplendere la sua santità, per estendere fino ai confini del mondo e fino alla fine dei tempi l’opera di Cristo, unico Salvatore. Nell’antifona Salve Regina, la Chiesa chiama la Madre di Dio “Speranza nostra”. La stessa espressione è usata da san Luigi Maria a partire da un testo di san Giovanni Damasceno, che applica a Maria il simbolo biblico dell'àncora (cfr Hom. Iª in Dorm. B. V. M., 14): “Noi leghiamo le anime a te, nostra speranza, come ad un'àncora ferma. A lei maggiormente si sono attaccati i santi che si sono salvati e hanno attaccato gli altri, perché perseverassero nella virtù. Beati dunque, e mille volte beati i cristiani che oggi si tengono stretti a lei fedelmente e totalmente come ad un’àncora salda” (Trattato della vera devozione, 175). Attraverso la devozione a Maria, Gesù stesso “allarga il cuore con una santa fiducia in Dio, facendolo guardare come Padre e ispirando un amore tenero e filiale” (ibid., 169). Insieme alla Santa Vergine, con lo stesso cuore di madre, la Chiesa prega, spera e intercede per la salvezza di tutti gli uomini. Sono le ultime parole della Costituzione LUMEN GENTIUM: “Tutti i fedeli effondano insistenti preghiere alla Madre di Dio e Madre degli uomini, perché Ella, che con le sue preghiere aiutò le primizie della Chiesa, anche ora in cielo esaltata sopra tutti i beati e gli angeli, nella Comunione di tutti i santi interceda presso il Figlio suo, finché tutte le famiglie dei popoli, sia quelle insignite del nome cristiano, sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, nella pace e nella concordia siano felicemente riunite in un solo Popolo di Dio, a gloria della Santissima e indivisibile Trinità” (n. 69).

- Dal libro “Alla scuola dell’amore” di DON DIVO BARSOTTI, trascrizione dell’omelia della S. Messa in onore di Nostra Signora della Guardia il 15 luglio 1984,

Prima Lettura: Sir 24,1-2.5-7.12-16; Vangelo: Lc 1,39-47

LA MATERNITÀ DI MARIA E LA NOSTRA MATERNITÀ
Ci piace stamane meditare la prima lettura. Perché questa lettura è stata assegnata a una festa della Vergine? Il Siracide non parla forse della sapienza di Dio? Non è applicabile letteralmente il testo soprattutto al Verbo di Dio? Certo, ma il Verbo di Dio in quanto si incarna getta le sue radici in un terreno propizio, in una città che egli sceglie.
Ora nella Officiatura della Madonna noi vediamo che la Santa Chiesa sempre applica a Maria i salmi della santa città di Gerusalemme, della terra di Israele.
Essa è la terra da cui Dio ha tratto il nuovo Adamo, Gesù; essa è la santa città in cui dimorano i figli di Dio, secondo il salmo sulle fondamenta di Sion. Dunque giustamente la liturgia della Chiesa applica il testo anche alla Vergine, oltre che al Verbo Incarnato, perché il Verbo si incarna in lei, perché la Sapienza divina in lei prende carne e sangue per farsi presente nel mondo.
Dunque possiamo dire che la prima lettura praticamente ci parla della maternità di Maria, di quella maternità per la quale il Verbo di Dio, come si è detto, trasse da lei la carne e il sangue, dimorò nel suo seno, pose le radici e nell’anima sua germinò.
La nostra maternità
Questo testo, se si applica direttamente alla Vergine, indirettamente si applica ad ogni anima. Se Maria santissima è la Madre di Dio, questo non toglie che ciascuna anima sia partecipe di una divina maternità. È uno dei temi fondamentali della spiritualità cristiana, questa partecipazione alla maternità di Maria. In noi tutti il Cristo deve nascere, in noi tutti deve crescere e da noi tutti deve essere in qualche modo partorito e donato al mondo; e noi tutti dobbiamo imparare dalla lettura che abbiamo ascoltato stamane quello che importa questa maternità divina.
Che cosa dobbiamo vivere, perché possiamo partecipare a questo mistero? Certo, prima di tutto si impone la scelta di Dio. È Dio che sceglie, è Dio che elegge; fin dall’eternità ha eletto la Vergine pura per essere concepito nel suo seno e nascere da lei, ma l’elezione di ciascuno di noi non è meno vera della elezione di Maria. Certo, l’elezione di Maria è singolarissima, ma ciò non toglie che Dio ami anche noi, che abbia scelto anche noi fin dall’eternità. Una vocazione divina ci ha fatto suoi figli fin dalla nascita, e una volta battezzati, e una volta fatti figli di Dio, crescendo abbiamo ascoltato la sua Parola che ci invitava a una particolarissima unione con lui, ci invitava a vivere più intensamente la nostra vocazione cristiana chiamandoci alla divina intimità.

L’ascolto della Parola
È ben questo che inizia una divina maternità: l’ascolto della Parola. Perché che cosa è la Parola di Dio, secondo il Vangelo? “Semen est Verbum Dei”, la Parola di Dio è “seme” che deve essere concepito nel cuore dell’uomo. La Parola di Dio non è vana, ma è il seme in cui si contiene la vita, e che attende soltanto di essere seminato in un terreno fertile e buono, perché possa attecchire, germinare e nascere.
S’impone dunque, prima di tutto, che la vostra anima rimanga sgombra di ogni altra parola, si offra a Dio in purezza di amore, e si offra a Dio senza altro desiderio, altra volontà che quella di offrirsi alla efficacia di questa divina Parola. Allora la Parola di Dio in voi prenderà carne e si prolungherà in voi l’incarnazione del Verbo, non nel senso che si rinnovi l’Incarnazione. Il mistero dell’Incarnazione è uno solo, ma questo mistero coinvolgerà anche la vostra anima, così come coinvolge la vostra anima il mistero della divina maternità.
Il Cristo non sarà più soltanto il Figlio di Maria, sarà il figlio di tutta la terra, sarà il figlio di ogni anima che avrà accolto in sé la Parola.
Spose e madri
Voi dovete essere spose e madri: spose del Verbo, e madri del Cristo. Dovete essere madri, non solo nei riguardi di Gesù, Figlio di Dio, ma nei riguardi anche della Chiesa intera, perché il Cristo non è soltanto Gesù Figlio di Maria, è tutto il mistico corpo che egli unisce a sé, nell’unione di tutti i figli di Dio.
Non so se avete notato che nella Liturgia la Chiesa contempla il suo mistero non tanto negli apostoli o nei pastori della Chiesa, quanto nelle vergini e martiri nei primi secoli. È tipo della Chiesa intera la Vergine santa, è tipo delle Chiese locali, molto spesso, una beata o una santa: Lucia per Siracusa, Agata per Catania, Agnese per Roma, Blandina per Lione… Comunque è certo che la Chiesa si riconosce soprattutto nell’anima sposa e nell’anima madre, madre per una sua missione di maternità, nei confronti dei figli di Dio. Perché è vero che il pastore della Chiesa deve guidare il gregge ai pascoli eterni, ma è vero che vi è una missione più segreta, e non per questo meno efficace, della donna che è madre.
La madre sta in casa, ma è lei che dona la vita; la madre non vive una vita pubblica come il pastore di una Diocesi, ma è lei che ottiene e dona la vita ai suoi figli. Ed è per questo che in ogni Diocesi come è importante l’Episcopio così è importante il Monastero. Nella Curia Vescovile e nell’Episcopio sta il Pastore che guida, nel Monastero sta l’anima verginale, che non solo ottiene per sé che il Cristo viva nell’anima sua, ma ottiene per tutta quanta la Chiesa una fecondità che da lei soltanto può derivare, da lei in quanto è la Sposa del Cristo, da lei in quanto nell’unione col Cristo deve generare i figli di Dio.
Voi celebrate oggi la festa di Maria. La celebrate non solo perché è la vostra Madre, ma perché è il modello della vostra medesima vita, perché dovete contemplare in lei il vostro stesso mistero, perché noi tutti siamo partecipi della grazia cui ella è stata chiamata. Certo, in lei questa grazia è piena, in lei questa è la grazia di una maternità che si estende a tutta la Chiesa: ella è Madre di tutta la Chiesa.
Ma anche voi dovete essere in qualche modo partecipi di questa divina maternità. Come vivere questa maternità divina? Si tratta di sgombrare il terreno perché la vostra anima accolga soltanto la Parola di Dio. Non avete bisogno di altre parole, solo la Parola di Dio viva in voi. Questa Parola ha tale potere da trarre a sé tutta la vostra vita, tutto l’essere vostro; ha bisogno, per nutrirsi e vivere in voi, di tutto quello che siete, di ogni vostro pensiero, di ogni vostro affetto, di ogni vostro sentimento. Non può essere sentimento, pensiero, non vi può essere affetto di cui egli non voglia nutrirsi: tutto dovete riservare a lui. Ecco l’esigenza viva di una divina maternità, che vi fa in qualche misura partecipi del privilegio stesso della Vergine pura: riservare a Dio tutta la vostra forza, riservare a Dio ogni vostro amore, ogni vostro pensiero. Tutto quello che sottraete a Dio, lo sottraete all’amore! Tutto quello che sottraete a Dio vi fa in qualche misura colpevoli di adulterio, rende impossibile in voi una divina maternità.

I santi sono necessari
Il Verbo di Dio, una volta asceso al cielo, si è reso invisibile al mondo; una volta asceso al cielo non opera più nella sua umanità, nella storia del mondo, e tuttavia il mondo ha necessità di vederlo, ha necessità di essere in qualche modo raggiunto dalla sua azione, dalla sua morte. Egli può essere reso visibile, egli può ancora operare attraverso di voi se in voi egli vivrà.
Ecco la necessità dei santi. Il santo non dice se stesso, dice Gesù; non è altro che una immagine vera del Cristo, non è altro che una presenza viva di Cristo Signore. Presenza viva, in cui egli si rende visibile al mondo, presenza viva in cui egli è operante ancora nella storia degli uomini. Se voi non dite Gesù, voi avete mancato alla vostra vocazione divina. Se voi non dite Gesù, voi non avete adempiuto quello che il Signore si aspettava da voi. Se attraverso la vostra vita non vivrà il Cristo, per le anime che a voi si avvicinano, voi non avrete vissuto fino in fondo quello che Dio vi chiedeva, perché Dio chiede a voi quello che ha chiesto a Maria: “Ecco, concepirai nel tuo seno, e darai al mondo un Figlio, e lo chiamerai Gesù”.
Troppo grande è quello che Dio ci chiede. L’unica cosa è il puro abbandono all’onnipotenza dello Spirito di Dio, perché in voi si prolunghi il mistero di questa Incarnazione divina, e voi siate oggi nel mondo sacramento vivo di Cristo, presenza vera e viva di Cristo Signore, perché questo è il mistero di una divina maternità.
Come il mistero della paternità di Dio: il Padre genera il Verbo, lo genera nel suo seno; così il Verbo divino è concepito e si incarna in voi, ma non viene partorito come qualcosa di distinto da voi, diviso da voi, voi dovete essere lui. Ascolto della divina Parola, umile custodia di questa Parola divina nel cuore, abbandono di noi stessi alla forza di questa Parola, tutto qui. Dio non ci chiede altro.
La vita cristiana, come vedete, è una cosa ben semplice: difficile perché noi siamo dispersi, difficile perché noi siamo superficiali, difficile sì, ma non complicata; è un atto di amore che sempre più ci stacca da noi stessi per donarci a lui, per essere posseduti da lui, perché egli possa fare di noi secondo la sua volontà, come dice la Vergine all’Angelo: “Si faccia di me secondo la tua volontà”, secondo la forza della tua Parola, secondo la onnipotenza della tua Parola, secondo l’universalità di questa parola.

Abbandonarci alla potenza di Dio
Quale misura può avere in noi la Parola di Dio se non la misura della nostra fede? In sé la Parola di Dio ha l’immensità stessa di Dio, ha l’onnipotenza stessa di Dio, ma siamo noi a dare una misura a questa Parola secondo la nostra fede. Ecco perché Elisabetta può dire alla Vergine: “Beata, tu che hai creduto, perché si compirà in te tutto quello che ti ha detto il Signore”. E voi, avete fede? Sì certo, una qualche fede l’avete; ma avete una fede grande, come è grande il dono che Dio vuole fare di sé alla vostra anima? Nessuno di noi ce l’ha! Perché? Perché il dono di Dio supera sempre la possibilità umana di aprirsi ad accoglierlo. Dio è l’infinito, Dio è l’immenso, e la creatura non potrà mai aprirsi tanto da accogliere l’immensità divina, così come essa è.
Tuttavia se non possiamo dilatarci nella misura di Dio, possiamo però crescere ogni giorno più nella fede. Ed ecco quello che si impone nella vita spirituale; il progresso dell’anima nella vita spirituale è il progresso della fede, come dice san Paolo nella Lettera ai Romani: “Ex fide in fidem” “di fede in fede”. Tutto qui è il progresso, da una fede imperfetta a una fede più perfetta, ogni giorno più perfetta.
Voi tutte forse avete rinunziato ad essere sante come Margherita Maria, ad essere sante come Giovanna Francesca Frémyot di Chantal, ad essere sante come Francesco di Sales. Se avete rinunziato, non va bene, non potete rinunziare a nessuna santità. Forse non sarete sante come san Francesco, ma quello che si impone è che voi, cominciando il vostro cammino verso Dio, non poniate una misura al vostro crescere in lui. Voi dovete andare oltre, oltre ogni santo, oltre ogni coro degli Angeli, dovete salire fino al Trono dell’Altissimo, dovete divenire veramente le Spose del Verbo, dovete divenire veramente come la Madre: e della Madre di Dio è detto che è esaltata al di sopra del coro degli Angeli. Il nostro cammino tende a trascendere ogni limite, ogni misura. Forse poi, come ho detto prima, non raggiungeremo neppure la santità di quelli che oggi veneriamo quaggiù sulla terra, ma questo non è di per sé un motivo per rinunciare fin da oggi ad essere santi, come i più grandi santi della Chiesa, ad essere santi anche più dei santi canonizzati.
Non possiamo rinunziarvi, farà Dio. Se abbiamo questa fede, non è per presunzione e orgoglio, non è per ambizione umana, ma perché sentiamo nel cuore l’esigenza di un Dio che ci impedisce di dare una misura del suo crescere in noi. Non è per noi che vogliamo la santità, è per lui che vuole vivere in noi, perché nella misura in cui poniamo una misura alla nostra santità, in qualche modo contristiamo lo Spirito di Dio, soffochiamo lo Spirito di Dio in noi, lo costringiamo nelle nostre misure umane, lui che è l’infinito.
La Vergine, ecco il modello della vita dell’anima consacrata che sta in ascolto di Dio; che custodisce in un raccoglimento profondo la Parola che ha ascoltato e che si abbandona totalmente a questa Parola. È difficile l’ascolto perché la nostra anima troppo spesso è in ascolto di altre parole; non vogliamo ascoltare soltanto il Signore. Ma se difficile è l’ascolto, più difficile è custodire nel cuore questa Parola. Ci sembra di impoverire la nostra vita nel custodire soltanto quella Parola che abbiamo ascoltato.
Anche Eva, anche Adamo in un primo tempo ascoltarono la Parola di Dio, ma poi Eva ascoltò anche la parola del serpente. E noi dobbiamo mantenerci aperti soltanto alla divina Parola, per custodire questa sola Parola. Difficilissimo però, più difficile di qualsiasi altra cosa è questo abbandono puro nelle mani di Dio; un abbandono che esige una fede assoluta; una fede assoluta nei momenti di stanchezza, una fede assoluta nei momenti di aridità, una fede assoluta nelle tenebre, nella desolazione dello spirito, nel vuoto interiore, un abbandono totale alla onnipotenza divina. Credere sempre all’amore, credere anche quando tutto ci sembra vuoto, anche quando tutto ci sembra irreale, abbandonarci all’amore di Dio, non dubitare mai di Dio.
Spesso noi adattiamo Dio alla nostra anima, piuttosto che adattare la nostra anima a Dio; spesso noi adattiamo Dio, costringiamo Dio negli stretti confini della nostra piccola anima, della nostra piccola volontà, dei nostri desideri, ambizioni anche; ma tutte le ambizioni dell’uomo sono nulla, in paragone di quello che Dio vuole fare di un’anima che in lui si abbandona.
Certo, si paga la grandezza a cui egli ci chiama, come l’ha pagata la Vergine. Esaltata sopra tutti i cori degli Angeli, ella ha vissuto sulla terra una vita di nascondimento, di povertà, di martirio. Certo si paga, ma la vita di povertà, di nascondimento, di martirio non ha impedito alla Vergine di credere e di abbandonarsi totalmente all’amore. Così anche voi, se vivete una vita povera e umile, se vivete anche una vita di desolazione interiore, di aridità e di vuoto, tutto questo non vi impedisce di abbandonarvi, con un abbandono totale, a un amore che rimane onnipotente, che rimane infinito ed ha per termine voi, perché ciascuno di noi è amato da Dio, come se fosse unico per il suo amore infinito.
Abbandonatevi a Dio, di questo abbandono umile e pieno: non dubitate di Dio, ma tanto più cresca in voi la fede nell’amore divino quanto più Dio vi sottopone alle prove perché la vostra fede sia pura.

Le consolazioni di Dio
È facile credere quando Dio ci dà le sue consolazioni, ma questa fede che è facile, è una fede impura, perché noi crediamo che l’amore di Dio abbia un suo corrispettivo, una sua prova, una sua misura nelle consolazioni che egli ci dà. Quanto è più bello che Dio ci privi di ogni consolazione, perché allora la nostra fede può maggiormente adattarsi a Dio di quando egli ci dà le consolazioni! Quasi fatalmente noi adattiamo Dio alle consolazioni che riceviamo, e lo rendiamo abbastanza meschino; infatti, le consolazioni che Dio può darci su questa terra sono un nulla, paragonate alla gloria che egli ci riserva nel cielo. E proprio perché sono nulla non solo le tribolazioni, ma anche le gioie, dobbiamo saper rinunciare a queste consolazioni; chiederle soltanto nella misura nella quale ci sono necessarie, per la povertà della nostra anima, convinti che è infinitamente più grande il peso di gloria che ci attende domani.
Viviamo questo mistero di una divina maternità come l’ha vissuto Maria, nell’umiltà, nella semplicità di una vita nascosta; viviamo la grandezza di questo mistero anche nella tribolazione di una vita che forse non conosce le gioie che hanno conosciuto altre anime. Facciamo credito a Dio anche nei momenti più duri della nostra esistenza; facciamo credito a Dio, egli ci ama. Non dubitiamo del suo amore, non dubitiamo della sua presenza, non dubitiamo della vocazione che egli ci ha dato alla santità. Lasciamoci possedere da lui, perché in noi viva lui solo. “In te ho posto le mie radici”, dice la Sapienza nel libro del Siracide. Viviamo la partecipazione al mistero della Vergine.
- Si può concludere con l’Antifona mariana del Tempo di Avvento, già proposta per la riflessione nella prima assemblea «O alma Madre del Redentore, porta sempre aperta del cielo e stella del mare, soccorri il tuo popolo, che cade, ma pur anela a risorgere. Tu che hai generato, nello stupore di tutto il creato, il tuo santo Genitore!».